LA CUCINA E L’ALIMENTAZIONE AI TEMPI DELLE NOSTRE NONNE

di Egisto Fiori

Tutto era riposto in una scatola di latta. Dopo tanto tempo, appunti sparsi, ritagli di giornale e ricettari pubblicati da una nota industria di lieviti ancora odoravano di vaniglia. Le ricette, riportate con grafia incerta, passate di mano in mano, sono state disordinatamente raccolte sin dagli anni Cinquanta riciclando supporti cartacei di diversa provenienza tra cui anche modulistica riconducibile all’Ordine dei Geometri oppure al Ministero della Difesa. L’epoca del consumismo, pur annunciata dal frigorifero e poi dall’apparecchio televisivo, non aveva infatti compromesso del tutto l’attitudine degli anziani della nostra provincia al risparmio di materiali considerati rari e alla riparazione degli utensili, compresi quelli più umili. Oggi si parla tanto di riciclo e di consumo a Km 0 e non può non stupire la maestria e la pazienza dei nostri più vicini antenati nel riporre e conservare tutto ciò che sarebbe potuto di nuovo tornare utile, dallo spago ai contenitori di diverso materiale.

Nel ricettario di mia nonna Gilda, vissuta principalmente nel Cicolano, pochi sono gli appunti che si riferiscono a piatti o lavorazioni considerate tradizionali. Sovente, non c’era nessuna utilità nel trascriverle, essendo tramandate da madre in figlia, di bocca in bocca, e facendo pratica utilizzando prima il fuoco del camino e successivamente, le cucine economiche, anch’esse alimentate a legna. Non è un caso che anche per i “pizzini” trovati nella scatola di latta ci siano più annotazioni sulle dosi da utilizzare, piuttosto che sui procedimenti. Gli appunti sparsi e spesso, incompleti, erano semplicemente dei promemoria personali per chi aveva imparato a cucinare sin dalla tenera età. Non è un caso che per la lavorazione dei Turchetti, dolce tipico locale, siano riportati solo ingredienti e quantità.

Turchetti

Dose per un Kg

Kg 1 di farina, Mezzo kg di zucchero, una tazza di latte, due etti di strutto o un bicchiere di olio, 10 gr di bicarbonato, un limone intero, un uovo.

Ne La cucina sabina di Maria Giuseppina Truini Palomba, uno dei testi maggiormente apprezzati, troviamo una rispondenza, seppur con delle varianti, delle stesse dosi. Vengono aggiunti però, quattro etti di mandorle, ingrediente considerato a Rieti importantissimo, e si specifica per i meno avveduti, l’utilizzo della scorza del limone e non del suo succo. Nel libro, per chi si volesse provare, è descritto tutto il procedimento che per le nostre nonne, era dato evidentemente per scontato.

Nella prefazione al volume già citato, si rammenta giustamente che in un territorio non omogeneo come quello compreso nell’attuale provincia reatina, le coltivazioni e quindi anche le tradizioni culinarie, risultano essere molto condizionate dalle differenze produttive. La raccolta della castagna, definita il pane dei poveri, ad esempio, è diffusa soprattutto nell’area del Cicolano. Molto pregiato è considerato anche il marrone antrodocano. Tra le varie attività del mio operoso nonno paterno, vi era anche il commercio legato ai frutti dei nostri boschi e non poteva mancare in famiglia una ricetta che ne permettesse anche la trasformazione e la conservazione nel tempo.

Conserva di castagne

Basterà un quarto d’ora di cottura. Passate allora i marroni al passatutto. Pesate la massa ottenuta e provvedete a una stessa quantità di zucchero. Con quest’ultimo ed un litro di acqua cuocete a 350 gradi. Quando vedrete formarsi in superficie grosse bolle, aggiungete due bustine di zucchero vanigliato, unite il passato e fate cuocere ancora venti minuti senza cessare di rimestare. Lasciate intiepidire prima di mettere in vaso.

I pasti quotidiani erano in genere frugali e condizionati dalle produzioni stagionali e dalle condizioni economiche delle famiglie. Le feste religiose, la presenza di ospiti e i matrimoni trasformavano invece le cucine in una sorta di laboratori alchemici animati spesso, non solo dalle donne della famiglia direttamente interessata all’evento ma anche da quelle del vicinato. Si mettevano in campo saperi e capacità collaborative ed organizzative, già sperimentate nella panificazione settimanale che spesso prevedeva l’uso di forni comuni, la macellazione del maiale, la produzione di vino, di olio, la lavorazione di pomodori ed altri prodotti dei campi e degli orti ma anche nel bucato con la lisciva di cenere. Gli strumenti di lavoro, compresi quelli utilizzati in cucina, erano preziosi. Spesso li ritroviamo nell’elenco degli oggetti in dote alle spose e non di rado, vista la loro carenza, venivano prestati o messi in comune. Per riconoscerne il proprietario, gli oggetti venivano marchiati a fuoco con le iniziali del nome o con altre sigle. Sono diversi gli utensili del mio bisnonno Sabatino, custoditi in cantina, ad aver subito questo trattamento agli inizi del secolo scorso. Si utilizzavano gli stessi oggetti per decenni e in caso di rottura, si ricorreva alla riparazione. Gli stagnari, fino ai primi anni Cinquanta, si aggiravano ancora nelle nostre contrade, muniti di una piccola fornace. Avevano il compito di riparare gli oggetti di rame, evitando le intossicazioni alimentari e rendendo nuovamente funzionali, magari utilizzando del semplice fil di ferro, conche, vasi e stoviglie.

Archivio privato di Egisto Fiori
Archivio privato di Egisto Fiori

Come già riportato, nella scatola di latta, erano presenti frammenti di riviste degli anni Cinquanta e Sessanta. Le ricette contenute si discostavano molto dalla tradizione locale ma erano considerate parte di una modernità sotto la cui insegna si stava unificando il Paese. Non è un caso che l’aggettivo moderno, rivolgendosi ad un target femminile, fosse usato copiosamente da riviste specializzate di cucina o dedicate alla cura della casa. Le ricette tratte da diverse pubblicazioni oppure trascritte da mani differenti, ci raccontano una sorta di nouvelle cuisine dal sapore forse considerato esotico e innovativo, molto presente sulle tavole italiane del dopoguerra e degli anni immediatamente successivi. Tra gli ingredienti preferiti dagli aspiranti borghesi, troviamo spesso prodotti industriali, come ad esempio la carne in scatola, fortemente utilizzata nel periodo bellico. È il caso dei cestini primavera di cui riproduciamo di seguito la ricetta. È una delle tante versioni dei pomodori ripieni. 

Cestini primavera

gr 300 di carne in scatola tritata con l’aggiunta di due foglie di basilico, capperi, un uovo, un cucchiaio colmo di pane grattugiato e uno di formaggio, sale e pepe. Riempire i pomodori con l’impasto e metteteli in forno guarniti con quadratini di formaggio e cetrioli tagliati a ventaglio. Il piatto sarà pronto in un’ora.

Nonostante la semplicità del piatto, questo veniva offerto soprattutto in occasioni particolari, essendo considerato una raffinatezza. I miei ricordi di ragazzino più graditi però, mi conducono per altri percorsi gustativi ed olfattivi e privilegiano senza dubbio i paesi delle nostre montagne e le ricche campagne della Sabina. Si cominciava la giornata con il pane, quello di una volta, abbruscato sulla brace ed intinto nel latte. Da lì in poi, ci si rivolgeva alla catena di fast-food costituita da parenti ed amici. Pane con zucchero e vino, pane e pomodoro, pane e marmellata, pane e frittata, bruschetta con olio e aglio, erano la base della nostra dieta quotidiana.

Ciambelloni e crostate erano sempre presenti nelle dispense ma non mancavano biscotti e altre delizie tra cui le cosiddette sposette, sposine o spumette, meringhe tipiche della zona. La cucina sabina di Truini Palomba propone in differenti versioni, questo candido dolce. L’indicazione di nonna Gilda è quella di procurarsi 300 gr di mandorle, 300 gr di zucchero e due bianchi d’uovo, ingredienti e posologie che si richiamano alla tradizione abruzzese. I finocchitti sono un altro dolce tipico ottenuto con un kg di zucchero, un kg di farina, quattro uova, pezzettini di cioccolata, mandorle, essenza di limone, anice e il latte che l’impasto riesce ad assorbire. Anche l’occhio vuole la sua parte e, per rimanere tra i dolciumi, ricordiamo il serpente. Tra le esperte di questa lavorazione, troviamo le religiose dei conventi del Cicolano. Nel ricettario di Truini Palomba questa prelibatezza è indicata come Serpentone di S. Anatolia e se ciò non lascia incertezze riguardo alla sua zona d’origine, essendo S. Anatolia anche una località, forse può anche rivelare antichi significati spirituali. Il dolce assume la forma di un serpente arrotolato. Gli occhi sono in genere contrassegnati con due chicchi di caffè e la lingua biforcuta è rappresentata da un nastro che fuoriesce dall’impasto. Le ferratelle sono un’altra squisitezza molto diffusa in Abruzzo e nel Cicolano. Attualmente, questo tipo di dolce è particolarmente legato all’avvento natalizio. L’impasto viene diviso in piccole palline che vengono schiacciate tramite appositi ferri muniti di piastre incise. Il disegno più comune, dai contorni romboidali, ricorda un’inferriata e da ciò, probabilmente, la sfoglia croccante prende il suo nome più recente. Nei secoli scorsi, il dolce veniva utilizzato anche durante la celebrazione dei matrimoni e il disegno impresso poteva rappresentare lo stemma di famiglia degli sposi o più semplicemente, le loro iniziali. Queste sfoglie, pressate e cotte all’interno delle lamine munite di appositi manici, possono essere utilizzate in coppia e farcite con miele e noci tritate oppure con marmellate o crema di cioccolata. La forma romboidale ricorda quella dei terzetti e della copeta tipiche della tradizione natalizia reatina. La zeppola, ciambella tradizionale, può essere preparata in occasione della festa di San Giuseppe oppure durante il periodo di Carnevale. Secondo Nonna Gilda, occorrono tre uova, mezzo kg di farina, mezzo kg di patate, tre cucchiai di zucchero, un limone grattugiato, un hg di burro, 40 gr di lievito di birra. Ne La cucina sabina di Truini Palomba, il termine dialettale zeppola non compare nell’indice ma gli ingredienti e la posologia corrispondono abbastanza a quelli necessari a produrre le ciambelline di patate. L’impasto viene fritto in abbondante olio di oliva e una volta scolate, le ciambelline, prima di essere servite calde, sono cosparse di zucchero. Tra i dolci di carnevale troviamo oltre alle classiche castagnole, anche quelle morbidissime, con la ricotta. Gli appunti di nonna Gilda relativi a questo dolce indicano solo gli ingredienti necessari tra cui due etti di ricotta, un etto di amaretti, un uovo ed un pizzico di cannella che presumibilmente, vanno aggiunti al composto delle castagnole tradizionali. In questo caso, non sono stati trovati riscontri ne La cucina sabina. Tra i sapori che ormai si sono persi, troviamo i ficorilli coll’acitu. Fichi, zucchero ed aceto venivano cotti insieme.     

Archivio privato di Egisto Fiori
Archivio privato di Egisto Fiori

Durante il periodo estivo, si faceva molto uso di verdura e soprattutto di frutta di stagione che i ragazzini della mia età preferivano consumare direttamente, a cavalcioni di qualche ramo. Tra i sapori della mia infanzia, quindi nei primi anni Sessanta del secolo scorso, ricordo anche lo sciroppo di visciole e di sambuco ma anche la pesca e l’anguria affogate nel vino dai più anziani e le partite di bocce o a carte, rinfrescate da una miscela di birra e gazzosa. Il liquore di genziana ancora viene fatto in casa, come quello di ciliege, il centerbe o il nocino. Ancor oggi, la gente dei nostri borghi si dedica alla raccolta delle more, dell’asparago selvatico ma anche di molte altre erbe commestibili e bacche, ad esempio quelle di ginepro, utili anche per la lavorazione di liquori fatti in casa. Alcuni di questi liquori, come è noto, hanno proprietà digestive e benefiche.

Questi sapori ed immagini non sono comunque necessariamente condivisi dalla mia generazione che in parte, ha vissuto nelle grandi e medie città. Va considerato che nelle zone appenniniche della nostra provincia, l’agricoltura era soprattutto una forma di sussistenza, integrata con i prodotti della pastorizia e dell’allevamento degli animali da cortile. La gricia e la più famosa pasta all’amatriciana hanno origine proprio dal contesto agro-pastorale. Il sapere dei pastori che spesso, durante la transumanza, erano costretti ad affrontare dure prove, si è disperso nel tempo. Sappiamo però, che nella loro sacca era sempre presente la capsella bursa-pastoris, pianta dalle proprietà emostatiche e che non mancavano alimenti reperibili in montagna. Oltre a diversi frutti di bosco si raccoglievano anche erbe particolari e tuberi nutritivi e dissetanti, tra cui quelli di cardo. Naturalmente i formaggi, oltre ad essere venduti, erano non solo parte dell’alimentazione del pastore, ma anche una presenza costante nelle dispense.

Tra i prodotti della terra presenti nelle cucina delle nostre zone, vanno sicuramente ricordati il tartufo e i funghi, a cui sono dedicate molte sagre ed appuntamenti gastronomici.