
Il mio rapporto con la fotografia nasce nei primi anni settanta dentro una camera oscura, dove illuminato da una fioca luce rossa, incredulo ed impacciato tra bottiglie e alambicchi vari, vidi per al prima volta una immagine prendere forma dentro una bacinella colma di un liquido di colore tenuamente giallo. Non ricordo chi mi invitò ad assistere a quel rito che fin da subito assunse per me un alone di magia. Ricordo che costui prese il cartoncino, lo sciacquò e poi lo immerse in una seconda bacinella, che poi scoprì essere il fissaggio, un miscuglio di acido acetico, solfito di sodio e acido borico che più tardi imparai a preparare da solo per risparmiare soldi.
Dopo un po’ accese la luce e potetti ammirare la fotografia.
Un vero miracolo; in quel cartoncino che gocciolava emanando uno strano odore destinato a diventarmi famigliare, si era impressa l’immagine che prima avevo visto prendere lentamente forma nelle due bacinelle degli acidi, resa irreale dalla luce rossa.
Avevo allora 16-17 anni e non ebbi alcun dubbio; quel mondo magico sarebbe stato il mio mondo. Di esso volevo scoprire tutto; scrutarlo in ogni angolo, percorrerlo in tutti i suoi rivoli, anche se oggi dopo tanti anni, mi rendo conto di non averne percorso che qualche breve tratto. Corsi a casa ed aprii lo scomparto di un mobile dove i miei genitori conservavano gelosamente le macchine fotografiche con le quali fissavano i momenti salienti della nostra vita. Sapevo che c’erano, e la gelosia con cui venivano da sempre custodite mi faceva ritenere che si trattasse di strumenti importanti e preziosi, insomma i mezzi giusti per entrare a pieno titolo in quell’affascinante mondo.
In realtà si trattava di una delle prime Polaroid in bianco e nero che compiva il miracolo di darti subito la fotografia cha avevi appena scattato. Un vero mito di quei primi anni settanta, e un simbolo da utilizzare con orgoglio nei matrimoni, comunioni ed altre ricorrenze importanti di famiglia. La seconda era una Kodak instamatic a telemetro, di quelle dove si incastrava un quadrotto trasparente che girando garantiva 4 lampi di flash, e poi si gettava.
C’era poco da regolare: 1/40mo per la sincronizzazione, poi sole o ombra e nient’altro.
Nella mia mente scorrevano le immagini che avrei voluto realizzare, e dopo le inevitabili ingenuità iniziali accompagnate dalle conseguenti delusioni, arrivarono i primi modesti risultati. Passai mesi e mesi in camera oscura carpendo ogni giorno qualche segreto in più a questo mondo del quale ero ogni giorno più affascinato. Ben presto compresi che la piccola instamatic era fin troppo limitante, e che avevo oramai bisogno di una macchina più seria, magari un reflex, e fu così che misi mano dopo tanti anni all’unica cosa che ritenessi avesse valore tra quelle che possedevo e di cui potevo disporre; la mia vecchia raccolta di francobolli accumulata fin da bambino, e mi precipitai a venderla per 20.000 lire…
… La fotografia come strumento di denuncia sociale, e come mezzo per svegliare o generare, l’indignazione collettiva, era l’idea che mi convinceva di più … (continua nel file che segue, in allegato).
Appunti di viaggio, di Roberto Lorenzetti