LA MIA CASA È_3

di Andrea Scappa

In questi mesi di reclusione, per riempire i cassetti dannatamente vuoti delle ore, per sfogare l’agonismo represso, per rimodellare e variare il legame, avuto sempre a portata di mano o riscoperto, con figli, padri e madri, coinquilini e conviventi, ci siamo messi a fare il pane in casa. Così, in questa nuova sosta del percorso “La mia casa è”, vogliamo consegnare a voi, novelli o improvvisati panificatori, una pagina strappata dal disordine aggregativo di un ricettario, con scritture e segni d’inchiostro dal colore diverso. Nel mozzico di pagina ci trovate una strampalata ricetta per una manciata, o forse più, di mozzichi di pane. Volutamente non indicati o oscuri, dosi e alcuni passaggi. Certa è l’origine: reatina.

«Giocare con la creta era un po’ come maneggiare la pasta del pane, che mi era familiare. Le donne di casa si riunivano prima dell’alba alla vigilia delle feste e mi trovavano in attesa di partecipare al loro gioco. Ciascuna con abilità e fantasia creava ritmi e uno stato di attesa che durava poi nella lievitazione e nella cottura. Ogni porzione di pasta si trasformava in modo imprevedibile come seguendo una propria legge interna alla materia. Questo suo farsi da sé è stato il grande fascino del pane e poi dell’arte».[Maria Lai]

Ingredienti

– lievito

– acqua 

– farina

Prendete un recipiente abbastanza grande che sia in grado di accogliere il pallone di qualche cestista della locale e longeva squadra di basket. Al suo interno sciogliete il lievito con un po’ d’acqua tiepida. Se prendete quella del fiume Velino, è vivamente consigliato scaldarla. Versate poi la farina del Mulino del Cantaro, quella che nasce dal grano denominato Rieti 1. Impasta con le mani, auspicando che parte della capacità di resistenza alla ruggine del Rieti 1, per proprietà transitiva, ti resti addosso. Non fa di certo male vista l’usura, in percentuale variabile in ognuno di noi, provocata dall’esposizione forzata alla noia e all’abbattimento. Una volta che la farina avrà annebbiato la cucina (con annesso improperio verso te stesso/a per aver intrapreso questa ricetta) e avrai dato una forma pressoché sferica (vedi il pallone di cui sopra) all’impasto, coprilo con un panno e lascialo lievitare per 12 ore. Nell’attesa immagina gli impasti, avvolti in coperte e canovacci, che tanto tempo fa attendevano di essere cotti nei forni comuni di Rieti e della sua provincia. Potrai aiutarti con due foto. La prima, scattata da Paul Scheuermeier, coglie alcune donne di Leonessa, alla metà degli anni Venti del secolo scorso, intente a infornare pagnotte. La seconda restituisce i pani in ceramica dell’installazione Olio al pane e alla terra il sogno di Maria Lai, creata nel vecchio forno del paese di Castelnuovo di Farfa e parte del Museo dell’Olio della Sabina. Immagina quegli impasti che, mentre crescono, cominciano a bisbigliare, rivaleggiare e a scambiarsi inavvertitamente segreti e pettegolezzi sulle loro rispettive famiglie di provenienza. Avvicina l’orecchio al tuo impasto, accarezza il panno che lo protegge, e ascoltalo. Prenditi cura di lui, adotta le stesse cautele che avresti con un sonnambulo. Non lo svegliare finché non avrà vagato il giusto numero di ore. Solo in quel momento riprendi l’impasto, riammassalo, scegli una delle parole della crescita sentite in cui ti sei riconosciuto e imprimila sulla sua superficie. Ponilo su una teglia ricoperta con un pezzo di carta da forno (attento a non usare il foglio di questa ricetta). Lascialo di nuovo riposare e, quando avrà incontrato il suo doppio, inseriscili nel forno di casa tua con due bicchieri di acqua. Magari, per il troppo chiacchierare, viene loro sete. Non si sa mai.

Fondo AIS, Paul Scheuermeier, Leonessa, Donne al forno comune, 1925.
Archivio privato di Piero Luperto, Castelnuovo di Farfa, Forno comune, Installazione Olio al pane e alla terra il sogno di Maria Lai (1999).