a cura di Egisto Fiori
All’interno di questo numero sono ospitati già alcuni ricordi della Grande Guerra tratti dall’archivio della famiglia Fiori, le cui ultime generazioni sono vissute nel Cicolano. Nella stessa raccolta di documenti del passato, è presente anche altra documentazione relativa alla famiglia Di Marzio, le cui radici, affondano nel territorio della Marsica. Tra questa, è presente una pubblicazione patriottica a favore dell’entrata in guerra dell’Italia scritta da Francesco Di Marzio, fratello della mia bisnonna Teresa e di professione insegnante. Anche se alcuni componenti della famiglia Di Marzio hanno avuto rapporti di varia natura con intellettuali come Filippo Tommaso Marinetti, Ezra Pound, ed altri personaggi storici, non ci si aspetti un opuscolo con i tipici slanci dei Futuristi od un’opera di alto valore letterario. Il libricino fu stampato nel 1916 dalla tipografia romana «Concordia», dopo essere stato inviato alla Regia Casa che sembra aver gradito l’omaggio (n. 1). Nelle prime pagine infatti, sono pubblicate due lettere di ringraziamento inviate al maestro Di Marzio dal ministro della R. Casa Lamberini (n. 2) e dal Conte Lucca Bruschi Falgari, gentiluomo di Corte di Servizio (n. 3). La lettera di quest’ultimo è stata redatta il 28 agosto 1915 e ci permette di datare con più precisione lo scritto originale. In uno dei componimenti presenti nella pubblicazione, si fa riferimento all’invasione del Belgio, avvenuta nell’agosto del 1914, ma a nessuna delle battaglie combattute nel primo conflitto dall’esercito italiano (n. 4). Possiamo quindi supporre che l’operetta sia stata scritta nell’imminenza dell’entrata in guerra dell’Italia, avvenuta il 24 maggio 1915, o nei mesi che la precedettero.
Dalla prefazione, apprendiamo che Di Marzio, aveva già precedentemente scritto altri componimenti, in particolare sulla guerra italo-turca, più conosciuta come Impresa di Libia, combattuta dal Regno d’Italia contro l’impero ottomano, tra il settembre del 1911 e l’ottobre dell’anno successivo. Infatti Di Marzio scrive: «Non ambizione vaga e volgare, ma generoso tributo di riconoscenza e di affetto verso il Re, l’esercito e la Patria, nonché l’accoglienza fatta all’altra mia pubblicazione Pro Guerra italo-turca mi spinsero a dare alle stampe la presente operetta Pro guerra Italo-Austriaca» (n. 5-6). L’impresa bellica, che interessò le regioni dalla Tripolitania e della Cirenaica, presenta, come è noto, moltissime connessioni con il primo conflitto mondiale. Per quanto riguarda l’esercito italiano, si presentò anche l’occasione per utilizzare nuovi armi, mezzi e tecnologie. Per la prima volta furono impiegati gli aerei, le automobili e le comunicazioni radio. La Grande Guerra fu una mattanza mondiale in cui le macchine e la tecnologia militare ebbero una grande importanza e l’esercito italiano, durante la guerra contro l’impero ottomano ma soprattutto contro le popolazioni locali, ebbe modo di sperimentare nuovi strumenti di morte. La pubblicazione di opere di propaganda a favore dell’Impresa di Libia ci permette di inquadrare il loro autore nel ribollente contesto sociale, politico, culturale di inizio secolo. L’impresa militare, definita da Alceste De Ambris una «guerra di brigantaggio», divise il Paese tra interventisti e neutralisti. Non mancarono gli atti aperti di ribellione ed un’opposizione popolare che perdurò anche durante il primo conflitto mondiale.
Indipendentemente dal suo valore letterario, la silloge può essere d’interesse proprio perché ripropone una visione condivisa, anche se da differenti angoli di visuale, non solo da intellettuali e politici ma anche da una parte della popolazione italiana che, tra le tante illusioni, coltivò anche quella di poter garantire la pace con l’intervento bellico. Questo approccio che possiamo condensare nel motto latino «Si vis pacem, para bellum», è esplicitato anche nella prefazione della pubblicazione in cui, come quasi sempre accade, tutte la responsabilità delle sofferenze della guerra vengono ricondotte unicamente alle nefandezze, vere o presunte, attribuite al nemico. Quest’ultimo solitamente, viene schernito e demonizzato e nella prefazione del libricino, l’autore lancia addirittura una sorta di profezia che individua nella sconfitta dell’avversario, l’inizio di un luminoso avvenire per l’intera umanità. In definitiva, l’entrata in guerra dell’Italia, viene proposta come un male necessario, quasi come un atto salvifico.
Nel libretto di Di Marzio, si manifesta dunque un modo d’agire che sappiamo essere allora, non maggioritario, ma comunque, nelle sue diversificazioni, abbastanza diffuso. Lo scontro tra interventisti e neutralisti fu durissimo e riguardò molto anche il tentativo di influenzare quella che oggi definiremmo la pubblica opinione attraverso vignette, canzoni e scritti di natura satirica. Così, anche nell’opuscolo di Di Marzio, accanto ad inni bellici e patriottici (n. 7-12), sonetti di lode e incitamento a Vittorio Emanuele III (n. 13), Luigi Di Savoia (n. 14), Luigi Cadorna (n. 14), all’intero esercito italiano (n. 15), si trovano una serie di componimenti satirici contro Francesco Giuseppe I d’Austria. Il monarca, coinvolto direttamente non solo negli accadimenti che scatenarono il primo conflitto mondiale ma anche nelle note vicende del Risorgimento Italiano, in un’intervista immaginaria viene apostrofato in tono dispregiativo “Cicco Peppe” (n. 16-19). Lo stesso appellativo è confermato in vari testi sulla prima guerra mondiale e possiamo concordare sul fatto che il suo uso, per indicare il sovrano austriaco, fosse molto diffuso.