ATTILIO VERDIROSI: EROE DELLA GRANDE GUERRA

a cura di Umberto Massimiani

«A quarantasette anni, volontario di guerra in un reparto d’assalto, avendo lasciato famiglia e interessi, per giovanile fede, per coraggio indomabile, sempre primo in ogni ardita impresa per virtù di parola e di esempio, animatore e suscitatore d’eroismi, trascinò con sé gli arditi della prima ondata in un fulmineo contrastato attacco, ricacciando in disordine il nemico. La morte lo colpì nell’impeto dell’assalto, troncandogli sulle labbra il grido di incitamento e di esultanza Viva l’Italia». È questa la motivazione della medaglia d’oro al valor militare conferita alla memoria al caporale dei bersaglieri arditi Attilio Verdirosi morto nella battaglia di Losson nel Basso Piave il 19 giugno 1918. Ed è quanto fa memoria la lapide ferra posta all’ingresso della Caserma di Rieti a lui intitolata, sede della Scuola Interforze per la Difesa NBC e punto di eccellenza italiana ed europea.

Attilio Verdirosi nasce a Longone Sabino il 1 luglio 1873 da Emidio e Filomena Casti. Coniugato con Giuseppina Tripolini, da cui ha due figli, Bruno nato nel 1907 e Anita morta da ragazza, si trasferisce a Roma per motivi di lavoro, dove è usciere presso l’Istituto Internazionale di Agricoltura. Dopo il ripiegamento dell’Esercito Italiano al Piave (Caporetto), quando le sfortunate vicende della guerra sembrano minacciare l’esistenza stessa della Nazione, Verdirosi, riformato a suo tempo dal servizio militare, risponde subito al pressante invito della Patria. Nel 1917 l’Esercito chiama i ragazzi del 1899 e la sua classe non è neppure compresa tra quelle richiamate che partono dal 1874 per cui fa scalpore vedere questo “anziano” tra i giovani.

Con Caporetto muta radicalmente il carattere della guerra italiana. Il patriottismo, per molta parte dell’opinione pubblica, diviene esigenza di solidarietà popolare e di speranza di liberazione non solo delle terre invase, ma anche dalle sofferenze e dalla violenza delle armi. Per Verdirosi la percezione della guerra è molto forte. Per lui essere volontario significa difendere la Patria e la famiglia, significa vivere quell’ideale risorgimentale che nella continuità storica ha un senso e significato. Le imprese di Garibaldi prima, quella della Legione Garibaldina in Francia nel 1914 poi, e poi la figura del bersagliere Enrico Toti hanno lasciato il segno.

Verdirosi si arruola a metà novembre 1917 nel 2° Reggimento Bersaglieri dal quale passa, pochi giorni dopo all’8° Reggimento. I bersaglieri nel pensiero di Alfonso Lamarmora, fondatore dei ‘fanti piumati o fiamme cremisi’ e il cui busto, eretto dai bersaglieri sabini, si trova a Porta d’Arci a Rieti prima di giungere alla Caserma Verdirosi, dovevano avere grande resistenza alle fatiche per effettuare tanti e rapidi spostamenti, oltre che ottima mira con la carabina ed intelligenza. A tal proposito la Marmora sintetizza in un decalogo i principali aspetti dell’educazione bersaglieresca: obbedienza, rispetto, conoscenza assoluta delle proprie armi, molto addestramento, ginnastica di ogni genere sino alla frenesia, cameratismo, sentimento della famiglia, rispetto delle leggi ed onore al Capo dello Stato, onore alla Patria, fiducia in sé stessi sino alla presunzione. Giosuè Carducci dice: «I bersaglieri nel concetto popolare impersonano l’entusiasmo e il valore d’Italia». Verdirosi, che ben testimonia tutto questo, successivamente chiede ed ottiene di essere trasferito negli Arditi. La sua adesione agli Arditi completa la sua personalità ed idealità. L’ardito deve avere tutte le qualità morali e fisiche per uno scopo tattico ad incidere in profondità quel binomio reticolato-mitragliatrice e di conseguenza impedire di attivare una seconda linea difensiva ed agevolare l’attacco dei reparti amici. Gli arditi, il cui distintivo era il pugnale, si misurano con i pericoli per superare se stessi.

Nel febbraio 1918 Verdirosi con il XIX° reparto d’assalto, si guadagna i galloni di caporale. Nel maggio dello stesso anno viene trasferito nel XXIII° reparto d’assalto (reparto insignito di MOVM, dei seicento uomini ne rimasero cento) e il giorno 19 a Capo Sile nel basso Piave, con ardimento pari all’audacia, irrompe per primo nelle trincee nemiche durante un’azione, catturando numerosi prigionieri. Per questo gli viene conferita la medaglia d’argento al valor militare con la seguente motivazione: «Volontario di guerra, facente parte, a 46 anni, di un battaglione d’assalto, fulgido esempio di patriottismo e di odio contro il nemico, durante un’ardita azione irruppe fra i primi nelle trincee nemiche e dei difensori parte uccise e parte condusse prigionieri».

Verdirosi sempre tra i primi ad accorrere dove maggiore è il pericolo e a esporsi per la salvezza dei compagni del reparto, più volte ha affrontato con i pochi uomini del suo plotone il nemico durante azioni di pattugliamento sul Piave. Sferrata dal nemico il 15 giugno la grande offensiva (Battaglia del Solstizio 15-24 giugno), preceduta da violento fuoco di sbarramento delle artiglierie sulle trincee per sconvolgere e fiaccare lo spirito di resistenza dei difensori, Verdirosi per tre giorni con gli arditi sostiene l’attacco nemico. Nel pomeriggio del 19 giugno, ricevuto l’ordine di contrattaccare, muove da Losson verso Capo d’Argine ed è tra i primi a scagliarsi alla testa dei suoi arditi contro gli Austriaci, travolgendoli con impeto. Quindi con lanci di bombe a mano cerca di far cessare il fuoco di una mitragliatrice avversaria, ma nel tentativo cade al suolo crivellato di colpi.

Nell’atto di morte firmato dal Comandante del reparto è scritto che Verdirosi è stato sepolto nel campo con la croce numero 40052. All’atto della ricognizione dei corpi, il suo è stato trovato senza piastrina di riconoscimento, e traslato nel cimitero militare di Fagarè, è stato identificato e posto nella Cappella dei decorati di MOVM. Nel cimitero di Fagarè sono sepolti 10.255 soldati del Piave di cui 5.350 ignoti. La battaglia del Solstizio ha comportato da parte italiana 2.954 caduti, 20.048 feriti e 19.901 dispersi; da parte austriaca 10.000 morti, 50.000 feriti e 10.000 prigionieri. La battaglia di Losson impedisce agli Austriaci di aprirsi un varco per Venezia. Losson oggi si chiama “Losson della Battaglia” è un luogo della memoria dove si trova il Parco Verdirosi. La memoria di Attilio Verdirosi a Longone Sabino iniziata nel 1920 continua nel tempo: dal fratello Ettore (1880-1953), dal Comune alla Banda Musicale, dalla Pro Loco all’associazionismo d’arma e nel monumento. La memoria è presente nel Gruppo Medaglie d’Oro al Valor Militare, nel Corpo dei Bersaglieri e negli eredi degli Arditi: gli incursori (9° Col Moschin).

Nelle celebrazioni del 150° dell’Unità d’Italia e nel Centenario della prima guerra mondiale, la figura e la vicenda di Attilio Verdirosi ci spingono ad una riflessione sulla sua storia e persona. La sua immensa disponibilità è supportata da una motivazione eccezionale: un insieme di valori e sentimenti che accomuna il volontario risorgimentale e quello impegnato nelle moderne missioni militari. Verdirosi ci interpella richiamando le parole di Mameli «Ogni speranza sta in noi, in noi soli», quelle di Mazzini «La Patria deve essere il nostro tempio», e quelle di Garibaldi «chiedo di morire per la Patria».


BIBLIOGRAFIA:

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  12. Istituto di Studi Sabini, Progetto Santa Barbara 2014-2018
  13. Parrocchia “Immacolata Concezione” Archivio storico posizione Attilio Verdirosi, Longone, 2014

 

SITOGRAFIA:

www.asrieti.it

www.albodorolazio.it

www.arditiditalia.it

www.bersaglieri.it

www.comune.meolo.ve.it

www.esercito.difesa.it

www.incursoriesercito.com

www.prolocolongone.it

www.quirinale.it

www.regioesercito.it

www.studisabini.org