a cura di Roberto Lorenzetti
Ci sono eventi che, per quanto drammatici, non entrano nella storia. Nessun manuale di storia, per quanto completo, si sofferma più di tanto a raccontare un terremoto. Le guerre, i trattati sì, ma i terremoti no, anche se spesso nelle dinamiche umane questi ultimi hanno inciso più dei primi.
Di fatto tendiamo a non far entrare i terremoti nel nostro orizzonte culturale. Li esorcizziamo, collocandoli in una nicchia quasi a voler nascondere qualcosa che contraddice il nostro percorso esistenziale. C’è un libro che vale la pena rileggere in questo tempo. È Sulla catastrofe. L’Illuminismo e la filosofia del disastro (Milano, Mondadori, 2004), che raccoglie gli scritti di Voltaire, Rousseau e Kant relativi al terremoto di Lisbona del 1755. Una vera catastrofe che mise in crisi la fiducia dell’illuminismo riguardo alla storia, la quale doveva marciare sempre verso il meglio. Quel “peggio” restituì alla filosofia il suo radicale pessimismo e l’ottimismo della scienza illuminista finì con il porre sul banco degli imputati la natura capace di tanta violenza, Dio che la consentiva e l’uomo stesso, incapace di difendersi, in un processo che non poteva essere che affrancato da una qualsivoglia sentenza finale. Quello dei terremoti è quindi un tema straordinario, che non merita di entrare prepotentemente nella storia. Per tante comunità come sono oggi Amatrice, Accumoli, Norcia, ecc., esso “è” la storia, o per meglio dire è la fine di una storia e l’inizio di una nuova. Chi si trova a vivere un terremoto tragico come questo, vive la fine del proprio mondo. Tra qualche anno si cercherà di dimenticare tutto. La nuova storia sarà affrancata da soluzioni di continuità con il passato. Tra il prima e il dopo ci sarà la frattura incolmabile del terremoto con tutti i suoi segni materiali e psicologici. L’unico trait d’union tra il prima e il dopo sono gli archivi storici delle comunità colpite.
Senza di essi il “prima” sparisce definitivamente e ci sarà solo un “dopo” poggiato sul nulla. La storia di questi territori è fortemente contrassegnata da questa dinamica. Negli archivi storici comunali non troviamo la documentazione che precede il 1703, l’anno di un terremoto decisamente devastante che colpì questa stessa area in modo ancor più violento di quello di oggi. Al tempo gli archivi andarono perduti, così come contro di essi hanno agito successivamente gli incendi e a volte l‘incuria dell’uomo.
Oggi, grazie al pronto intervento dell’Amministrazione archivistica, siamo riusciti a salvarli e a metterli al sicuro presso l’Archivio di Stato di Rieti. Quando abbiamo iniziato a recuperare gli archivi dei centri colpiti dal sisma, così come tanti altri istituti, soffrivamo una forte carenza di spazio. Ci siamo però detti che in ogni caso le carte sotto le macerie non le avremmo lasciate e siamo andati a prenderle insieme ai colleghi dell‘Icrcpal, della Soprintendenza archivistica e bibliografica del Lazio, oltre naturalmente alla Protezione Civile, ai Vigili del Fuoco, ai Carabinieri del nucleo TPC e in alcuni casi all’Esercito e ai volontari di Legambiente. Colgo l’occasione per ringraziare davvero tutti per la loro imprescindibile collaborazione. Abbiamo stipato le carte un po’ ovunque, dalla sala di consultazione dei catasti, alla palazzina uffici, montando scaffalature anche nei ballatoi delle scale. Anche le nostre stesse stanze da lavoro sarebbero state a disposizione qualora ve ne fosse stata necessità. Tutto il personale dell’Archivio di Stato ha collaborato come ha potuto per raggiungere questo obiettivo, sia rendendosi disponibile per recarsi nei luoghi del sisma, sia per formare catene umane per scaricare, anche di notte, gli archivi che di volta in volta venivano recuperati. Lo stesso personale, da quello amministrativo a quello di custodia, si è poi impegnato per compattare numerosi fondi archivistici, recuperando metro dopo metro lo spazio necessario per collocare gli archivi che arrivavano dai centri del sisma. Tutte le attività dell’Archivio di Stato di Rieti sono state concentrate sul sisma. Così il laboratorio di cartotecnica ha sospeso la normale produzione di contenitori per i vari archivi italiani, per concentrarsi sulla realizzazione di migliaia di faldoni spediti nelle zone del sisma utili per condizionare i fondi recuperati.
Anche i tradizionali progetti di alternanza scuola-lavoro sono stati rimodulati in questo senso, dando modo a decine di studenti di impegnarsi in qualcosa di concreto per il terremoto. Penso ad esempio ai ragazzi del Liceo artistico “Via di Ripetta” di Roma che avevano elaborato uno specifico progetto legato ad Amatrice o a quelli dell’Istituto Rosatelli di Rieti. Il loro contributo è stato tutt’altro che formale tanto che essi, dopo una breve preparazione curata dai funzionari dell’Istituto, si sono impegnati non solo nel dare una mano nella movimentazione degli archivi, ma si sono inseriti con profitto anche nell’attività materiale di produzione dei faldoni presso il laboratorio di cartotecnica. Sapevano a cosa sarebbero serviti e questo li ha fortemente motivati. Dopo qualche settimana che erano giunti all’Archivio di Stato, siamo riusciti a rendere i fondi recuperati disponibili per la fruizione da parte dei ricercatori e tecnici, e speriamo che lo siano ancor di più ora nella fase della ricostruzione. Si parla di ricostruire i vari centri in base al principio “dove era e come era”; bene il “come era” si trova proprio nelle carte che abbiamo recuperato e che, raccontando il passato, possono dare un serio contributo per la progettazione del futuro di questi centri. Ma esse non contengono solo la descrizione di come si sviluppava una strada o magari le piante dei palazzi e delle chiese da ricostruire. Esse raccontano la vita dei cittadini che da secoli hanno abitato quello che oggi il terremoto ha ridotto ad un grande cumolo di macerie. Lì c’è la storia ma anche i segni dell’identità culturale della gente che ha vissuto in quei centri e che legittimamente intende tornarci a vivere.
È ad essa che appartengono queste carte, e ad essa dovranno essere restituite. La ricostruzione di questi centri sarà completa quando fuori dalla porta di un edificio, non importa quale, non importa quando, si potrà apporre una targa con l’indicazione “Archivio storico comunale”. Vorrà dire che lì è conservata la memoria collettiva di una comunità che, come abbiamo detto, rappresenta il trait d’union tra un futuro oggi ancora da costruire, ed un passato andato tragicamente in frantumi.
Alcuni documenti provenienti dagli archivi recuperati sono stati esposti presso l’Archivio di Stato. Con Maria Giacinta Balducci e Liana Ivagnes ripercorriamo l’esposizione, dove si trovano alcuni materiali dell’Archivio comunale di Amatrice e dell’Archivio dell’Opera Don Minozzi, che sono stati studiati e valorizzati all’interno di questo numero dedicato alla prima guerra mondiale.