a cura di Roberto Lorenzetti
Il controllo delle acque è una tematica che sta assumendo una rilevanza sempre crescente nell’orizzonte di quella storiografia che tra gli altri obbiettivi tenta di porsi come momento di riflessione critica nella gestione presente della città e del territorio (1).
La storia del ponte romano sul Velino si inserisce in pieno in questa prospettiva e, malgrado non sia altro che un tassello di una problematica molto più vasta, rappresenta uno dei momenti salienti del lungo e difficile rapporto tra città e fiume.
Questo scritto è una anticipazione di un lavoro più ampio che si colloca come supporto al «Progetto Velino» testimonianza concreta di un rinnovato interesse della città verso il fiume che la attraversa.
Per avviare il nostro discorso dobbiamo partire dalla considerazione che il Velino e il territorio reatino hanno una propria storia.
L’affermazione è di per se scontata e se si vuole anche banale poiché in fondo tutti i fiumi e tutti i territori hanno una loro storia, ma nel nostro caso questa è caratterizzata da un insieme di specificità che la rendono particolarmente rilevante.
Il Velino non accompagna romanticamente la storia di questa città ma la determina profondamente.
Da sempre, nel bene e nel male, ha condizionato la vita degli abitanti, ha obbligato gruppi di potere politico e economico di ogni tempo ad avere un continuo rapporto con esso, ha determinato i rapporti tra Rieti e le città vicine provocando perfino scontri armati, ha stabilito di che cosa dovessero vivere gli abitanti del contado prima pescatori e poi agricoltori, poi di nuovo pescatori e quindi pescatori e agricoltori insieme, ha imposto loro i tempi e le modalità con cui coltivare la terra, trasformare i prodotti, costruire le case al punto che ha perfino disegnato l’immagine stessa di questa città.
È stato un rapporto difficile e astioso, tanto che sono occorsi oltre 20 secoli perché l’uomo riuscisse ad avere ragione della stravaganza delle sue acque. […]