a cura di Vittorio Martinelli
[…] Il cinema italiano era ancora, agli inizi del 1915, il dominatore incontrastato degli schermi mondiali: li aveva conquistati con i kolossal di Guazzoni e Pastrane, li teneva ora saldamente con le grandi “dive”; dalla Bertini, i cui film venivano acquistati a scatola chiusa in numerosi paesi, a Lyda Borelli che, con il suo stile languido e fremente, aveva imposto un modello di recitazione cui si ispirarono quasi tutte le “dive” che venivano nascendo nelle altre cinematografie.
Lina Cavalieri poteva pertanto iscriversi “honoris causa” nella schiera sempre più folta delle eroine del “belcanto silenzioso”; dopo il favoloso contratto, cui venne aggiunta anche una percentuale sugli incassi, Mecheri la affidò al suo uomo di punta, Emilio Ghione, forse l’artista più personale e significativo del cinema italiano di quei tempi. Ghione, oltre ad aver creato e impersonato per lunghi anni l’apache Za-la-Mort, un ruolo che l’avrebbe consegnato alla storia del cinema, aveva la reputazione di essere un esperto direttore di attrici: se l’era già vista con la Bertini e con Hesperia, due dive con un certo caratterino, e aveva saputo destreggiarsi con molto tatto, ma anche con decisa fermezza.
Sposa nella tempesta! è il primo dei due film che la Cavalieri girò sotto la direzione di Ghione, ed è la storia di una donna che abbandona un pittore squattrinato per seguire un ricco amante a Parigi; quando reincontra il primo amante, si uccide per il rimorso.
«Nulla di nuovo – commenta Mario Corte su Il Tirso al Cinematografo – nella vicenda di una creatura che, con la stessa fatuità con cui li crea, distrugge d’un sol gesto, tutti i sogni di colui che alla fonte purissima del suo affetto aveva attinto la potenza creatrice. Ma l’arte e la bellezza radiosa di Lina Cavalieri hanno trionfato sullo schermo. Fra le attrici del silenzio essa si è affermata fortemente, dando un’impronta di originalità semplice e spontanea ad un personaggio di cui abbiamo vissuto le mille volte la tragedia intima». È indubbio che una parte preponderante del successo della nuova attrice è dovuto all’abbigliamento. In una corrispondenza fiorentina per “Cronache del teatro e del cinematografo”, l’estensore della nota, dopo aver sottolineato come la Cavalieri abbia saputo infondere al personaggio di Elyane «tutta una perfetta verità di interpretazione», si sofferma lungamente sulle dodici toilettes – «ma potrebbero essere ventiquattro» – aggiunge – «forse, non ho contato bene» – che l’attrice ha indossato, «facendone sfoggio signorile ed affascinante. Erano modelli della Ditta Paquin & C., creatrice delle toilettes dernier cri, su figurini 1916!». […]
scarica il saggio di Vittorio Martinelli, L’avventura cinematografica di Lina Cavalieri, in «Il Territorio», A. II, n. 3, settembre-dicembre 1986, pp. 285-299