di Liana Ivagnes e Elisabetta Tarsia
Il 28 settembre 1930 per volere del Capo del governo Benito Mussolini si svolse in tutta Italia la “Prima Festa dell’uva”. «Sarà gioconda manifestazione di letizia italica, ringraziamento e propiziazione pel dono dell’uva che la provvidenza largisce alla feconda Enotria»[1]. Così veniva celebrata questa prima festa che doveva ritenersi di lunga durata, da ripetersi con cadenza annuale negli anni a seguire. Ogni comune d’Italia doveva organizzare feste e cortei folkloristici favorendo in ogni modo la vendita ed il consumo dell’uva. L’organizzazione della festa era demandata ai Comitati locali presieduti dal Podestà e composti dai gerarchi e dai rappresentanti di tutte le organizzazioni del Regno, coadiuvati nell’organizzazione delle manifestazioni folkloristiche dalle sezioni locali del Dopolavoro. Ad un apposito ufficio, sotto la direzione della Federazione nazionale fascista del commercio enologico, con sede a Roma in via del Gesù venne demandata l’organizzazione della vendita e della distribuzione dell’uva e l’approvvigionamento delle forniture necessarie.
A Rieti il Comitato era presieduto dal vice podestà Francesco Palmegiani, che aveva predisposto la manifestazione in modo che si celebrasse con fasto solenne, allietata da canti e da sorrisi di gruppi di giovani donne in costume tradizionale sabino, oltre alla coreografia di cortei folkloristici di carri, trainati da buoi, opportunamente decorati di motivi che ricordavano la vendemmia insieme ai simboli del fascio. Particolare cura era dedicata anche all’apparato scenografico della piazza Vittorio Emanuele, dove si svolgeva la sfilata: grappoli e tralci d’uva, cartelli e strisce multicolori inneggianti al Duce, bandiere e stendardi, luminarie di vari colori. La fontana della piazza veniva addobbata in stile «edicola pompeiana»[2], mentre sempre nella piazza veniva eretto un pergolato rivestito di grappoli e delle edicole per la vendita ed il consumo dell’uva. La vendita dell’uva era demandata a gruppi di ragazze, vestite con costumi tipici sabini, cui si affiancavano anche sei autentiche popolane in costumi tradizionali di Orvinio. L’uva veniva distribuita in cestini di vimini del Piave, dai due ai tre chili, ed in sacchetti di carta oleata, da mezzo chilo o un chilo. Anche ai negozi vennero distribuiti cestini e sacchetti, per allestire la mostra interna ed incentivare le vendite, insieme a buoni di acquisto da distribuire ai propri clienti, mentre le mostre migliori venivano premiate con medaglie d’oro, d’argento e di bronzo[3]. Da Amatrice arrivava la banda del dopolavoro ad allietare il pubblico mentre sfilava il corteo di carri trainati da buoi con le ragazze in costume e, per finire, la sera sia il pergolato della piazza Vittorio Emanuele sia le edicole e la fontana si accendevano di «luminarie alla veneziana»[4].
Nel complesso, come ci è dato leggere nella relazione del presidente del Comitato Palmegiani al prefetto di Rieti dell’11 ottobre 1930, il bilancio della prima Festa dell’uva fu positivo e, nonostante il periodo prematuro per il clima di Rieti e la novità della festa, vennero distribuiti più di tredici quintali di uva, offerti gratuitamente dai proprietari agricoli di Rieti[5].
Dato il successo ottenuto nel 1930, anche l’anno successivo il Capo del governo ed il ministro dell’Agricoltura indissero la seconda edizione della Festa dell’uva. Il prefetto di Rieti ne diede comunicazione ai commissari prefettizi ed ai podestà della provincia, facendo riferimento alle istruzioni già contenute nella circolare 1208 dell’anno precedente, cui si aggiunse l’indicazione di includere tra i membri dei diversi Comitati organizzativi anche i rappresentanti dei Fasci giovanili e delle altre organizzazioni agrarie locali[6]. Il programma prevedeva in mattinata la mostra dell’uva da tavola sotto il portico del municipio, la distribuzione dell’uva ai negozianti, la vendita dell’uva in piazza Vittorio Emanuele da parte delle ragazze e dei balilla tra i banchi artistici creati attorno alla fontana. Nel pomeriggio la sfilata per le vie della città dei carri addobbati, accompagnati dalle giovani in costume e la distribuzione dei premi per i migliori carri e per i migliori addobbi dei negozi, infine era previsto l’arrivo della banda Gigli di Recanati[7]. Nel complesso anche questa seconda edizione era stata una manifestazione di successo, superiore alle aspettative, grazie anche alla grande serata, che a conclusione della manifestazione, si tenne al teatro Vespasiano con il concerto di Beniamino Gigli e di altri artisti[8].
La Festa dell’uva divenne così un evento consolidato che proseguirà negli anni successivi con modalità simili, magari con qualche innovazione, come la costruzione, nel 1937 in piazza Vittorio Emanuele, di un «ammirevole arco rivestito di mortadella, con nel mezzo un’artistica anfora adornata da nastri dai colori nazionali e della provincia»[9].
La Festa dell’uva venne celebrata fino al 1942, pur se mantenuta nei limiti di sobrietà imposti dalle contingenze della guerra, mantenendo i prezzi di vendita più bassi possibili e favorendo le distribuzioni gratuite ai militari ed alle fasce più bisognose, anche per ovviare alle limitazioni dell’uso dello zucchero dovute alla guerra[10].
La manifestazione riprese nel 1952 come “Campagna propagandistica per il maggior consumo dell’uva e Sagra dell’uva”, sostituendo alla retorica della ruralità fascista ed agli aspetti prettamente folkloristici, contenuti maggiormente legati agli aspetti medico-salutistici ed alla necessità di incremento dei consumi dell’uva. Pertanto il programma delle attività comprendeva conferenze affidate a professionalità altamente qualificate, accompagnate da articoli sulla stampa locale, concorsi tra pubblici esercizi per l’allestimento delle mostre e per la redazione dei migliori articoli. Non mancarono comunque le sfilate dei carri allegorici per le vie della città, la consegna agli istituti di beneficienza dell’uva donata dai produttori locali, e l’offerta della stessa alla cittadinanza nei consueti sacchetti, accompagnati da pieghevoli informativi opportunamente predisposti[11].
Attraverso le carte dell’Archivio comunale di Rieti è possibile seguirne le tracce fino al 1959, anno in cui si interrompono le testimonianze in possesso dell’Archivio di Stato di Rieti.
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[1] Archivio di Stato di Rieti (d’ora in poi ASRi), Archivio comunale di Rieti (d’ora in poi ACR), Carteggio amministrativo, busta (d’ora in poi b.) 1028, fascicolo (d’ora in poi fasc.) “Festa dell’uva” anno 1930, «L’Agricoltore d’Italia», anno IX, n. 36, p. 2.
[2] ASRi, ACR, Carteggio amministrativo, b. 1028, fasc. “Festa dell’uva” anno 1930, Relazione dell’11 ottobre 1930 del podestà di Rieti sulla Festa dell’uva.
[3] ASRi, ACR, Carteggio amministrativo, b. 1028, fasc. “Festa dell’uva” anno 1930, Come è stata celebrata la festa dell’uva, in «La Tribuna», 30 settembre 1930, p. 7.
[4] ASRi, ACR, Carteggio amministrativo, b. 1028, fasc. “Festa dell’uva” anno 1930, Relazione dell’11 ottobre 1930 del podestà di Rieti sulla Festa dell’uva.
[5] Ibidem.
[6] ASRi, ACR, Carteggio amministrativo, b. 1028, fasc. “Seconda Festa nazionale dell’uva da celebrarsi il 27 settembre 1931”, Comunicazione del prefetto del 6 agosto 1931.
[7] ASRi, ACR, Carteggio amministrativo, b. 1028, fasc. “Seconda Festa nazionale dell’uva da celebrarsi il 27 settembre 1931”, Programma della II festa dell’uva, 24 settembre 1931.
[8] ASRi, ACR, Carteggio amministrativo, b. 1028, fasc. “ Seconda Festa nazionale dell’uva da celebrarsi il 27 settembre 1931”, La festa dell’uva a Rieti, in «L’Unità Sabina», 3 ottobre 1931, p.2.
[9] ASRi, ACR, Carteggio amministrativo, b. 1169, fasc. “8° festa dell’uva” anno 1937, Relazione del podestà di Rieti del 3 dicembre 1937.
[10] ASRi, ACR, Carteggio amministrativo, b. 1169, fasc. “XIII festa dell’uva” anno 1942-59.
[11] Ibidem.