di Patrizia Cacciani
Il Regio Decreto 24 gennaio 1927 VII, n.122 riconosce l’Istituto Nazionale LUCE unico organo fotografico dello Stato per la documentazione ufficiale degli avvenimenti nazionali:
«[…] un servizio abbonamenti per la stampa nazionale a mite canone per quelle fotografie che rappresentano per i periodici un valore di varietà che non potrebbero direttamente procurarsi se non a prezzo rilevantissimo, e che contribuiscono a dare interesse ai vari giornali. Le altre fotografie invece, che sono di propaganda e di interesse nazionale, riprese solo dall’Istituto LUCE per il diritto di esclusività che gli è stato conferito dalla legge, vengono inviate gratis»[1].
Il servizio fotografico dedicato alla Giornata nazionale dell’uva che si svolse il 28 settembre 1930, realizzato dal Reparto Attualità (1927-1955), ci racconta il primo evento voluto da Mussolini a tutela della produzione di uve italiane.
Sul piano economico, c’era la necessità di promuovere il consumo di uva da tavola in un momento di grave crisi del settore vitivinicolo (causata dalla sovrapproduzione), esaltandone le qualità nutritive e terapeutiche (in parziale contrasto con la politica antialcolica del regime), sul piano politico, valorizzando le tradizioni folcloristiche locali e il regionalismo, il partito nazionale fascista intendeva rafforzare una immagine di sé ruralista e paesana e, al contempo, guadagnarsi il consenso dei ceti contadini.
La “Giornata dell’uva”, prevedeva varie manifestazioni: il ricevimento, al Ministero dell’agricoltura e foreste e a Villa Torlonia, di una delegazione di donne nei caratteristici costumi dell’Agro romano, la mostra di uve da tavola ai Mercati di Traiano e il corteo folcloristico di carri vendemmiali a Piazza di Siena. Riguardo a quest’ultimo, a seguito di una analisi di confronto con i servizi fotografici di questo stesso fondo relativi alla “Festa dell’uva” negli anni successivi, che la sua organizzazione spettava all’Opera nazionale dopolavoro della Federazione dell’Urbe, però non si hanno riscontri certi del coinvolgimento dell’ente nell’organizzazione delle manifestazioni di questa prima “Giornata dell’uva”.
Tutto inizia dal ricevimento presso la Sala Verde del palazzo del Ministero dell’Agricoltura in via XX Settembre. Il palazzo fu edificato su progetto dell’ingegnere Odoardo Cavagnari nel 1908, e completato da Giuseppe Canonica nel 1914. La sala è meravigliosamente decorata da Giuseppe Cellini. Nei sopra-porta, che si intravvedono dalle foto, vi sono quattro tele minori che rappresentano le stagioni ed i frutti stagionali come il grano, l’uva, i pomi e l’ulivo.

Il ministro dell’Agricoltura, Giacomo Acerbo, docente di economia e politica agraria all’Università La Sapienza di Roma sino al 1927, conserverà la sua funzione nel dicastero dal 1929 al 1935. Membro del Gran Consiglio del Fascismo, votò nel famoso 25 luglio 1943 contro Mussolini. Fu condannato a morte in contumacia dal tribunale di Verona. Il sottosegretario Arrigo Serpieri (per l’agricoltura 1923-24 e per la bonifica integrale 1929-34, presidente dell’Istituto nazionale di economia agraria (1928-54), è l’uomo del cambiamento: l’economia rurale diventa una disciplina prevalentemente tecnica dell’economia politica, e fu il fautore del concetto di bonifica integrale. Fu autore, nel 1923, della legge sulle trasformazioni fondiarie di pubblico interesse, alla base della legge del 1929 sulla bonifica integrale e del testo unico del 1933, noto come legge Serpieri. L’altro sottosegretario, Arturo Marescalchi, era un tecnico agricolo, si dedicò agli studî agrari e in particolare alla viticoltura e all’enologia.
I luoghi dove la giornata svolge le sue manifestazioni sono: i Mercati Traianei, piazza di Siena, la Casa del Passeggero, il casino nobile (oggi Galleria Borghese) a villa Borghese e a villa Torlonia. I Mercati Traianei vivono una grande centralità durante il fascismo. Tutta l’aerea che incide su via dei Fori Imperiali assurge a luogo di rappresentazione delle masse organizzate del governo fascista. Un discorso a sé per la Casa del Passeggero. Albergo diurno situato tra la Stazione Termini e il Teatro dell’Opera, in via del Viminale 18, rione Castro Pretorio. Nel 1917 il Ministero dei Lavori Pubblici, Ivanoe Bonomi, vuole la creazione di un albergo diurno al servizio dei viaggiatori della stazione. Costruita negli anni Venti del Novecento dall’architetto Oriolo Frezzotti secondo lo stile del barocchetto romano, diventando una delle rare architetture déco della capitale. La Casa del passeggero era un vero e proprio centro benessere. Lì si potevano trascorrere le ore in attesa di una coincidenza o prima di un appuntamento: vi si trovavano le stanze per riposarsi, il deposito bagagli, il bagno romano, la toilette, i massaggi, il barbiere, il parrucchiere, la manicure, la pedicure, a cui in seguito si aggiunse un’agenzia per fare certificati, fotocopie, pratiche auto e confezione pacchi. Gli abitanti dei palazzi umbertini del quartiere Esquilino, sin dall’apertura, frequentano la casa del passeggero, perché non avevano in casa i servizi funzionali e moderni. Ha una funzione di servizio e ludica che ben si adatta all’occasione. Nel 1955 vi sono state girate alcune scene d’interni de Il segno di Venere di Dino Risi, interpretato da Franca Valeri e Peppino De Filippo, nel film l’edificio è chiamato “La casa del pellegrino”.
Il 7 novembre del 1902 il parco di Villa Borghese a Roma viene aperto al pubblico. Il complesso fu acquistato dallo Stato italiano nel 1901 e ceduto successivamente al comune di Roma per essere stabilmente aperto al pubblico. Il clou della manifestazione sono i carri allegorici che dal casino nobile Borghese, oggi Galleria Borghese, percorrono in movimento circolare Piazza di Siena. La piazza, al centro della villa, fuori dal traffico cittadino consente alla manifestazione di potersi svolgere con assoluta concentrazione e serenità. Proprio nel 1929, dopo due edizioni a Villa Glori, il concorso ippico internazionale ufficiale di Roma torna a piazza di Siena senza cambiare mai più sede sino a nostri giorni.
L’appuntamento con le donne rurali e la segretaria dei fasci femminili romani è presso l’abitazione di Mussolini: Villa Torlonia. Nel 1926 i Fasci femminili vennero riconosciuti ufficialmente a livello nazionale. Aderirono ai fasci femminili anche le associazioni femminili risparmiate dal regime: l’Unione delle Donne Cattoliche, le Infermiere della Croce Rossa, i Circoli delle Giovani Operaie e l’Associazione Madre e Vedove dei caduti in guerra. Questi gruppi si spartivano la partecipazione delle donne italiane prima che il regime si consolidasse: è questo uno dei motivi principali della scarsa iscrizione ai Fasci negli anni Venti. Ogni fascio femminile era costituito presso un fascio di combattimento e retto da una segretaria che fa riferimento ad ogni fascio femminile provinciale, diretto, a sua volta, da una fiduciaria provinciale.
Lo Statuto del ‘22 prevedeva sei gruppi di attività e di propaganda:
- Gruppo di propaganda in difesa dell’italianità del linguaggio, attraverso pubblicazioni specializzate e biblioteche localizzate in scuole, carceri e altre sedi fasciste.
- Gruppo di tutela morale del lavoro. Il compito era quello di avvicinare le operaie con problemi di pensioni, di maternità o malattia ai sindacati.
- Gruppo sanitario presieduto dalle infermiere fasciste che si sarebbero occupate di allestire dei corsi professionali di infermieristica.
- Gruppo scolastico che avrebbe curato i rapporti fra la scuola e le famiglie.
- Gruppo agricolo interessato a promuovere l’incremento dell’agricoltura e della viticoltura.
- Gruppo per la protezione e divulgazione dei prodotti italiani in tutti i settori.
Presso i fasci femminili vi erano sezioni speciali. Una di questa era la sezione delle massaie rurali. Le donne che erano iscritte a tale sezione risiedevano abitualmente in comuni a carattere rurale e appartenevano a famiglie di coltivatori diretti, affittuari di coltivatori diretti, coloni e mezzadri, operai agricoli. Erano impegnate a promuover propaganda attiva presso le massaie delle campagne e dei centri rurali: facilitare l’istruzione professionale, migliorare l’arredamento e l’igiene delle case, favorire le condizioni igieniche della prole, creare tutte le condizioni migliorative della vita nei campi.

Nelle immagini del servizio fotografico Luce emerge la figura di Angiola Moretti, segretaria dell’organizzazione dal 1927 al 1930. Lei è tra le prime donne fasciste che provenivano dai ranghi dannunziani delle “fiumane”, come Elisa Majer Rizzoli. La Majer fu la prima, ed unica, ispettrice generale dei fasci femminili. Nel 1919 appoggiò la spedizione di Gabriele D’Annunzio a Fiume: fondò e diresse l’Associazione pro Fiume, che divenne poi Associazione delle legionarie di Fiume e Dalmazia, e infine il Comitato nazionale pro Dalmazia. Nel 1920 incontrò Benito Mussolini. Si trasferì a Milano e lo stesso anno si iscrisse ai Fasci di combattimento, definendosi «gregaria fascista». Nell’ottobre 1922 partecipò come infermiera alla marcia su Roma (nell’aprile 1924 verrà per questo decorata). La sua visione paritaria della donna nella politica attiva non fu vista positivamente e, nel 1925, Roberto Farinacci, segretario del partito fascista, soppresse la figura di ispettrice generale e la costrinse alle dimissioni.
La propaganda fascista determina il controllo politico su tutti i mezzi di comunicazione. Lo scopo è orientare l’opinione pubblica con l’intento di esaltare la missione nazionale a cui tutti erano chiamati. Il LUCE sarà lo strumento principe di questa incessante propaganda per la costruzione del consenso al regime e al culto della persona del duce. Ed appuntamenti come la festa dell’uva si inseriscono nel più complesso ed articolato progetto della fascistizzazione dello Stato.
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[1] Archivio Storico Luce, Ufficio studi, Verbale della seduta del Consiglio Direttivo dell’Istituto Nazionale LUCE del 20 maggio 1927.