di Maria Giacinta Balducci
Le manifestazioni legate al Carnevale erano tra le più attese dell’anno: in questo periodo, in fondo anche abbastanza florido, perché legato all’uccisione del maiale e, quindi, alla conservazione di buone scorte per i mesi successivi, la popolazione dava sfogo all’allegria e al buonumore.
Dal 17 gennaio, dopo il tradizionale ossequio a S. Antonio Abate, con la richiesta di benedizione per i propri animali, condotti ben agghindati davanti alla chiesa dedicata al Santo, si dava inizio a tutte le manifestazioni (doc. 1). In città le manifestazioni del carnevale erano piuttosto poche, limitate generalmente alla cosiddetta caccia al toro, alla corsa dei berberi, e alle feste mascherate, quasi sempre private, che, però, davano modo ai buontemponi di girare per la città e di permettersi, il più delle volte scherzi e sberleffi otre il limite, protetti dall’anonimato della maschera. Proprio quest’ultima evenienza costrinse spesso le pubbliche autorità ad emettere bandi che regolassero e limitassero l’euforia del carnevale, nel sospetto, a volte giustificato in uno Stato repressivo e oscurantista come quello pontificio, che il mascheramento, la caricatura o la satira potessero fomentare possibili rivoluzioni. Durante l’Impero Francese, nel 1810, quando più si temeva che ci potesse essere la repressione, il prefetto, invece, si limitò a raccomandare che le mascherate rispettassero la decenza e, comunque, «il dovuto rispetto alle cose Sacre»; nonostante, insomma, il prefetto fosse un’autorità laica, antepose questa norma a quella per il riguardo alle autorità in genere. Per quanto riguarda la “caccia al toro”, un documento attesta che la manifestazione si ripeteva più volte da novembre fino al carnevale (doc. 2).
Particolarmente rigide furono le normative dopo il 1821, in seguito ai noti avvenimenti bellici condotti fino alle porte di Rieti dai costituzionali guidati da Guglielmo Pepe: ogni assembramento, ogni apparentemente allegra riunione sollecitava, in quel momento, le ansie del Delegato apostolico, tanto da indurlo a regolamentare e limitare lo spettacolo della caccia al toro, come riferisce Roberto Marinelli nel suo saggio I paladini di San Carneale. Addirittura una supplica, nel timore che la manifestazione dello steccato del toro venisse sospesa, ricorda che essa si svolgeva «da oltre due secoli», e che, quindi la popolazione si aspettava di mantenere la tradizione. Per alcuni anni la rustica giostra divenne una consuetudine, tanto da essere soppressa solamente in occasione di eventi particolarmente luttuosi per lo Stato. Angelo Sacchetti Sassetti, in un suo articolo pubblicato sulla rivista «Sabina» nel 1958 ci ricorda, appunto, che a motivo della morte di papa Leone XII, avvenuta il 10 febbraio del 1829, la giostra non ebbe luogo. In seguito il Delegato di Spoleto e Rieti colse l’occasione per proibire definitivamente il crudo spettacolo. In ogni modo, dalla Restaurazione in poi, i limiti imposti dall’autorità preposta all’ordine pubblico all’approssimarsi del carnevale sono quasi sempre gli stessi: evitare di mascherarsi da ecclesiastici, non fare, ovviamente schiamazzi davanti alle chiese e ai conventi, non girare mascherati dopo la mezzanotte o trattenersi nei luoghi pubblici con la maschera dopo l’Avemaria e, soprattutto, non girare armati, approfittando della maschera. Così recita il bando del delegato apostolico Francesco Marcelli nel 1823, ma anche quello di De Cuppis dell’anno dopo, salvo irrigidire le norme dopo ogni evento rivoluzionario. Nel 1857, ad esempio, una circolare del Ministro dell’Interno Mertel consentiva il travestimento ma non la maschera sul volto o le barbe finte; per consolazione, nel 1859, si consente di estrarre una delle tre tombole consentite nel capoluogo anche nel periodo di carnevale (doc. 3). Dello stesso tenore è la circolare del ministro dell’Interno Andrea Pila del 10 gennaio 1860 con disposizioni sul carnevale, nella quale si permette l’uso del costume in maschera esclusa la maschera sul volto, sia di giorno che di notte e in qualunque ritrovo, sia pubblico che privato, per ragioni di sicurezza, ovviamente in seguito alla II Guerra di Indipendenza e agli altri tentativi insurrezionali (doc. 4). È evidente, da ciò, che il Carnevale, con tutte le sue manifestazioni, era, “obtorto collo”, semplicemente tollerato dai clericali, che vedevano in esso, quasi sempre, l’espressione dell’insubordinazione verso le regole o dell’anonima vendetta contro ogni ipotetico sopruso.
Forse, più tollerata era la corsa dei cavalli berberi, senza fantino, o, meglio, più difficile da impedire, dal momento che si svolgeva anche a Roma. Allo stesso modo che nella capitale, qui a Rieti questa tradizione lascia tracce proprio nella toponomastica, tanto che l’attuale via Terenzio Varrone, dove si svolgeva la corsa, era detta via del Corso e, tuttora, la denominazione “via della Ripresa”, trae origine proprio dal recupero dei cavalli sciolti da parte dei proprietari (doc. 5).
In ogni modo, già prima dell’Unità si abbandonò l’uso della caccia al toro, mentre perdurò ancora, fino ai primi anni del XX secolo, la corsa dei cavalli senza fantino, detta carriera a vuoto, che, spesso, si rivelò una tortura per i poveri animali stimolati e pungolati con mezzi più o meno leciti. Sempre legata alla tradizione, ma più frequente nei paesi che in città, era la questua di giovani mascherati, armati di uno spiedo con il quale reperivano quanto più possibile per poter, infine, bisbocciare con una lauta cena. A volte, però, l’innocente e goliardica questua degenerava diventando petulante e rissosa, specie dinanzi ad un rifiuto.
Negli ambienti socialmente più elevati si svolgevano spesso feste private in costume. Ne costituisce un esempio l’elenco dettagliato dei costumi descritto in un documento del conte Vincentini che vende ad un impresario teatrale il suo vestiario comico per il carnevale dell’anno 1791 (doc. 6, 6a, 6b).
Soltanto negli ultimi decenni dell’Ottocento il carnevale si spoglia del suo carattere dissacrante per diventare semplice spettacolo, assoggettato a determinate regole di ordine pubblico, ma sostenuto economicamente e quasi incentivato da enti pubblici e privati: si dà inizio, allora, ai corsi mascherati, alle gare a premi per i migliori carri e le migliori maschere (doc. 7, doc. 8, doc. 9).