UNA EDUCAZIONE SIBERIANA AL LAGO DEL SALTO

a cura di Andrea Scappa

I luoghi attraverso la potenza del cinema si disvelano e tornano a narrare storie in un impasto di finzione e realtà, di dicerie e cronache, di leggende e aneddoti. La camera da presa con il suo incedere riconnota i luoghi, ne esalta la bellezza e la rovina, ne rivela lati inediti. E questo sembra accadere ancora una volta con Educazione siberiana, pellicola di Gabriele Salvatores del 2013 tratta dall’omonimo romanzo di Nicolai Lilin, la cui sceneggiatura è stata scritta da Stefano Rulli, Sandro Petraglia e dallo stesso Salvatores.

Il film, ambientato in Russia tra la metà degli anni Ottanta e la metà degli anni Novanta, racconta l’evoluzione, l’incrinatura e la trasformazione di un’amicizia viscerale e elettrica, quella tra Kolima e Gagarin. Il passaggio violento dall’adolescenza all’età adulta di Kolima e Gagarin avviene mentre cade il muro di Berlino e il consumismo e la globalizzazione prendono il sopravvento. I due amici, crescendo in una piccola città, nel quartiere di Fiume Basso, nella comunità chiusa dei “criminali onesti” con valori e leggi proprie, inseguiranno la propria indole e percorreranno strade diverse. A fare da specchio alle loro azioni c’è la presenza inquieta di Xenja, ragazza con un ritardo mentale, fragile e eterea, una “voluta da Dio”, e quindi un intoccabile secondo la comunità.

Salvatores sceglie di non girare nei luoghi reali indicati nel romanzo, ma di ricreare la sua Russia in Lituania, dalle parti di Vilnius, e in Italia, nell’alto Lazio, precisamente nella provincia di Rieti. Il 21 agosto 2011 le riprese hanno inizio proprio nel territorio reatino. Il set si sposterà poi in Lituania e tornerà dalle nostre parti nel febbraio 2012 per le scene con John Malkovich, che nella pellicola interpreta Kuzja, maestro tatuatore e nonno di Kolima.

Il regista a proposito dell’attento lavoro di ricostruzione storica afferma: «Niente di quello che si vede è così com’era, cioè non abbiamo potuto arrivare in mezzo alla strada, mettere la macchina da presa e girare, e quindi abbiamo dovuto ricreare questo mondo, proprio praticamente. Dalle scritte sui pacchetti di sigarette che dovevano essere in cirillico alle scritte per le strade, ai veicoli, le macchine, gli oggetti. È quasi un film in costume, nel senso che, pur essendo ambientato ai giorni nostri diciamo così, è tutto ricreato».

Così Terminillo e Leonessa diventano le foreste del Caucaso, dove Kolima alla ricerca di Gagarin, si arruola tra i ribelli e combatte la guerra di Cecenia. Mentre il Lago del Salto e le zone limitrofe diventano il quartiere di Fiume Basso. È sulla ridefinizione filmica di questi ultimi luoghi che intendiamo appuntare il nostro sguardo.

Il Lago del Salto è un invaso artificiale realizzato nel 1940 in seguito allo sbarramento del fiume Salto con la Diga del Salto che ha portato alla sommersione dei paesi di Borgo San Pietro, Teglieto, Fiumata e Sant’Ippolito, ricostruiti successivamente sulle sponde. Il lago, che sembra richiamare con le sue insenature e le sue rive frastagliate i fiordi della Norvegia, delinea con il colore delle sue acque un paesaggio lunare.

Le scene girate al lago nella loro diversa temperatura emotiva, segnalano due passaggi importanti nel corso del film. In particolare ci concentriamo su due di queste. Nella prima assistiamo a una giornata di riposo e di festa durante la quale gli abitanti di Fiume Basso, prendono il sole, bivaccano, si riposano, acquistano leccornie da banchetti ambulanti, nuotano, vanno in barca. Gagarin, Kolima e Vitalic sono su un motoscafo in mezzo all’acqua. Xenja con l’obiettivo di raggiungerli entra nel fiume e procede verso di loro, ma non si accorge del livello dell’acqua che si alza velocemente. Gagarin si tuffa a salvarla prima che lei affoghi. Dopo un po’ Gagarin si prende gioco dei suoi amici gettandosi nuovamente nel fiume e restando sott’acqua in apnea per un tempo troppo lungo. Quando i suoi amici sono sul punto di immergersi per tirarlo fuori Gagarin riappare. Lo sbeffeggiare la morte e il sentirsi invincibile sono i tratti di una giovinezza ancora immune dai travagli dell’esistenza.

Se nel film all’interno del clan dei “criminali onesti” i tatuaggi “si soffrono” in quanto stigmate del dolore provato e si tramutano secondo precisi rituali, simboli, geometrie, e una profonda conoscenza tra tatuatore e tatuato in riscritture sottopelle, analogamente Salvatores e la sua troupe mediante una fotografia dai diversi cromatismi, minuziosi accorgimenti scenografici e nei costumi, effetti e soluzioni tecniche piuttosto complesse, sembra “tatuare” quei luoghi dopo averci instaurato un intimo dialogo. In questa direzione possiamo leggere la seconda scena ambientata al Lago del Salto che si situa al centro della pellicola, nel cuore della storia, e che andrà a mutare gli equilibri finora raggiunti. Italo Petriccione, direttore della fotografia di Educazione siberiana, con le sue parole ci fa comprendere le complessità legate alla realizzazione della scena: «Il fiume in piena con il recupero del pianoforte ha richiesto una preparazione molto accurata. Erano coinvolte 4 mdp, steadycam, carrello, technocrane da 15 mt (dolly telescopico computerizzato) e una subacquea. La luce proveniva da due piattaforme alte 45 mt poste su di un ponte a 180 mt di distanza: alle spalle avevo la piattaforma più grande d’Europa (54 mt) con altre luci. Per ricreare la corrente abbiamo messo in un’ansa del lago artificiale del Salto tre gommoni con motori da 300CW, tenuti da un cavo d’acciaio. Enormi reti sommerse tenevano insieme i detriti, un tronco montato su una macchina scenica era stato posto sott’acqua e una serie di cavi permettevano di farlo affiorare a comando. Attrezzisti e tecnici hanno lavorato per quattro settime per realizzare pochi minuti di film, ma viste difficoltà e pericolosità della ripresa non potevamo affrontarla diversamente».

Le immagini ci raccontano una notte di pioggia torrenziale in cui il fiume si ingrossa e inonda una parte di Fiume Basso trascinando con sé oggetti, mobili, casse di vodka e un pianoforte. Gagarin, Vitalic, Kolima e gli altri abitanti corrono a strappare alla corrente tutto quello che trovano. Gagarin viene attratto da un pianoforte, pensa che rivendendolo può tirarci su una bella somma di denaro. Insieme ai suoi amici con delle corde inizia a tirarlo fuori. Il loro sforzo contro la forza del fiume è incredibile. La foga della corrente non si arresta e continua a travolgere tutto. All’improvviso un enorme ramo colpisce Vitalic che perde i sensi e cade in acqua. I suoi amici si immergono per metterlo in salvo, ma il fiume lo ha già inghiottito. La morte si insinua con prepotenza nella vita di questi amici. È un una crepa nella loro giovinezza che li costringe a crescere, a mettere in discussione il mondo autarchico e autoritario a cui appartengono e a perdersi. È un punto di non ritorno per Gagarin e Kolima che si allontanano e si disperdono negli sbagli, negli istinti e nelle ambizioni individuali.

Se è vero che a partire dalla scena di un film ognuno gira la propria soggettiva stabilendo connessioni improvvise e inaudite con la propria esperienza di vita e memoria culturale, così la scena del recupero del pianoforte riaccende la storia del territorio, una storia neanche troppo lontana. L’irruenza di Fiume Basso che sommerge e porta con sé tutto quello che intercetta al suo passaggio fa venire in mente gli antichi borghi che sono scomparsi con la formazione del Lago del Salto, ci parla di un’Atlantide lacustre. Nella scena del film quegli oggetti trascinati dalla corrente potrebbero essere quelli appartenuti agli abitanti di Borgo San Pietro, Teglieto, Fiumata e Sant’Ippolito dopo essere stati costretti a abbandonare le proprie terre.

Il cinema può dunque donare occhi nuovi su determinati luoghi a chi vi è cresciuto e li frequenta regolarmente, suscitare la voglia di tornarci a chi li ha soltanto lambiti e di riconciliarsi a chi li ha odiati, catturare la curiosità e l’immaginario dei viaggiatori in cerca di nuove esplorazioni. È una sfida e una possibilità. Ognuno di noi sa come accoglierla.