LA MIA CASA È_4

di Andrea Scappa

Per questa quarta sosta del percorso “La mia casa è” abbiamo pensato a quando un luogo è un nido per l’arte. Il castello di Rocca Sinibalda, nel momento in cui è stato di proprietà della vulcanica americana Caresse Crosby, ha visto passare registi, scrittori, poeti, intellettuali. Alcuni di questi hanno plasmato le loro creazioni tra le sue mura. Il regista sperimentale Gregory J. Markopoulos, di passaggio al castello, se n’è follemente innamorato e ha deciso di tornarci per fare un film, Gammelion, uscito nel 1968. Questa è la lettera d’amore inventata in cui ricorda quella travolgente esperienza.

Immagine tratta dal film Gammelion di Gregory J. Markopoulos, 1968

Mio castello di Argol… Perché mi piace chiamarti così? Non puoi saperlo. C’entra il romanzo gotico-surrealista di Julien Gracq, ambientato all’interno di un isolato maniero nel paesino di Argon, in Bretagna. Nel 1961, dopo essere stato alla prima mostra dedicata al New American Cinema al Festival di Spoleto, su invito di Caresse, ti faccio una breve visita, ma basta per rapirmi l’anima. Tornato a New York, comincio a immaginare un film nel tuo spazio e nel paesaggio circostante. Il desiderio di indagare con il mio cinema il tuo corpo labirintico non accenna a placarsi. All’improvviso, su consiglio di un amico, leggo il romanzo di Gracq. Un triangolo amoroso tra il proprietario del castello, il suo amico e una misteriosa donna. Scrivo la sceneggiatura tutto d’un fiato e la sottopongo, attraverso la sua casa editrice, allo scrittore. Gracq non approva il trattamento. Il ménage a trois alimentato dalla mia creatività con te e la cinepresa si interrompe bruscamente. Accantono quella storia, ma non la voglia di trovarne un’altra. Quando sto per fare Eros, o Basileus, penso di incastrarti in qualche frame del film, ma finisco per eseguire tutte le riprese in una soffitta. Mi accorgo che non è ancora arrivato il tuo momento. Un altro tentativo andato a vuoto. Finalmente, nell’estate del 1967, decido che sarai il protagonista assoluto di Gammelion. Tempo per girare: due giorni. Due sole bobine di pellicola, una cinepresa Bolex presa a prestito, il mio vecchio esposimetro, un treppiedi e un filtro. Nessun attore. Uso unico della luce naturale. L’impossibilità di ripetere le riprese. Da cinque a dieci fotogrammi per ogni porzione del castello, non di più. Quei giorni di lavorazione nel tuo alveo ce li ho ancora impressi qui. Primo giorno, tre ore di girato, ho accarezzato con l’occhio della cinepresa, in estensione, tutti i tuoi lineamenti, dal portale d’ingresso ai bastioni posteriori, passando per la tua colonna vertebrale, il lungo corridoio da cui si diramano le trecentosessantacinque stanze. Sono spezzoni brevi di girato come quelli in 8 mm dei turisti. Secondo giorno, mattina, ancora più presto del dì precedente, riprendo i verdi del giardino e degli affreschi di una delle sale, annaffiati da quella luce primigenia. Poi esco da te, mi dirigo verso la valle che discende su uno dei tuoi fianchi e mi imbatto in un gruppo di pioppi vicino al tuo mulino abbandonato. Tornato, trovo nella Sala Gialla Caresse. Parliamo dei Cittadini del mondo. Mi rintano più tardi nella mia stanza. Prima di addormentarmi, dopo aver scritto il diario, rileggo qualche pagina dell’autobiografia di Peggy Guggenheim. Terzo giorno, alba, salto giù dal letto per i tuoni e i lampi di un’imminente tempesta. Imbraccio la cinepresa, ma demordo. Non ho bisogno di questi effetti facili e banali. Con il piede sfioro qualcosa. Accendo la luce. È una cavalletta verde-oro, ne resto incantato. In quell’ultima giornata poi ridiscendo nella vallata e arrivo a una piccola cascata…  Se dovessi scegliere delle parole da dedicarti, riprenderei la frase di Rilke che fa «Essere amato significa struggersi. Amare significa irradiare con luce inesauribile. Essere amato equivale a dissiparsi, amare a durare». Volevo inserirla all’inizio di Gammelion. Non l’ho fatto, era giusto così.

Un abbraccio ronzante come quella cinepresa Bolex

Gregory J. Markopoulos

[La lettera non è stata mai scritta e inviata da Markopoulos. Si tratta di una nostra libera riscrittura dei suoi ricordi reali.]