di Alfredo Pasquetti
È risaputo che la città di Rieti e la sua valle hanno giocato un ruolo fondamentale nella vita di san Francesco e nell’evoluzione della sua esperienza spirituale. Tuttavia è sempre difficile districarsi tra il mito e la storia quando si affronta questo tema, soprattutto in tempi nei quali, dalle nostre parti, il santo di Assisi è al centro di numerose iniziative di valorizzazione turistico-culturale e parareligiosa e non manca chi cerca di apporre il sigillo della “reatinità” sul vero Francesco che, in tacita ma palese contrapposizione all’immagine “ufficiale” e più paludata che ne sarebbe stata forgiata ad Assisi e a Roma, proprio nelle nostre lande si sarebbe manifestato.
Un interesse pari a quello che avvolge la figura del Poverello, però, dovrebbe suscitare anche lo sviluppo della presenza francescana nel territorio reatino e del modo in cui essa ha inciso sulle sue strutture religiose, sociali e antropologiche. Sull’argomento di recente non sono mancati importanti contributi scientifici relativamente al medioevo, soprattutto per opera di Tersilio Leggio e degli altri studiosi gravitanti attorno al Centro europeo di studi agiografici presieduto da Sofia Boesch Gajano, ed è auspicabile che l’attenzione si moltiplichi anche per i secoli successivi. Con il documento che proponiamo oggi, sempre attinto dal fondo membranaceo dell’archivio storico del comune di Rieti, ci volgiamo a uno degli aspetti più qualificanti di questa presenza, quello cultuale.
Con questa lettera graziosa data ad Anagni il 5 luglio 1256 e indirizzata «al ministro e all’Ordine dei frati minori di Rieti», papa Alessandro IV (1254-1261) concede cento giorni di indulgenza a tutti coloro che, in occasione delle memorie liturgiche di san Francesco, sant’Antonio e santa Chiara e per gli otto giorni seguenti, visiteranno «la vostra chiesa», si confesseranno con animo di penitenti e renderanno i dovuti onori ai santi. L’arenga dell’epistola, ossia l’introduzione tesa a inquadrarne il contenuto in una prospettiva spiritualmente alta, sottolinea come l’aiuto dei santi sia fondamentale perché i cristiani si guadagnino la gioia eterna. I luoghi destinati al loro culto devono essere venerati dai fedeli, affinché «mentre onoriamo gli amici di Dio, questi rendano noi amabili a Dio».

A differenza del privilegio che abbiamo esaminato nella prima tappa di questo nostro percorso storico-archivistico nel “tempo ritrovato” del medioevo, il documento di Alessandro IV appartiene a un genere esteriormente più semplice ma altrettanto solenne. Il protocollo vede il nome del pontefice vergato in scrittura ornata, seguito dalla classica intitulatio papale «episcopus, servus servorum Dei» e, dopo l’indicazione dei destinatari, dalla salutatio nella forma altrettanto consueta «salutem et apostolicam benedictionem». Nelle ultime due righe, alla data topica segue quella cronica, che riporta il giorno, il mese, l’indizione e l’anno di pontificato di Alessandro (soltanto incrociando i vari dati e facendo qualche calcolo è possibile datare il documento secondo la cronologia assoluta). La bolla plumbea che, conformemente al genere delle litterae de gratia, doveva pendere dalla plica del documento cum filo serico (mentre per le litterae de iustitia si utilizzava il filo di canapa) risulta purtroppo deperdita e il luogo di appensione appare danneggiato.
La pergamena costituisce solo una piccola scheggia documentaria nell’ambito delle fonti sul francescanesimo nella valle reatina e tuttavia ci restituisce la suggestione forte della “lunga durata” di alcune devozioni ancora oggi tra le più care al cuore dei reatini.