[estratto da Flavio Fosso, Luigi Ricci, Sebastiani Dream. Storie e personaggi della pallacanestro reatina in serie A, Rieti, Provincia di Rieti, 2004, pp. 58-59]
Sojourner sbarcò a Fiumicino: grandissimo fisico, braccia smisurate, due badili al posto delle mani, ma una di queste, la sinistra, era vistosamente fasciata: “Un incidente con l’auto. No problem” spiegò a Gigi Simeoni che era andato a prelevarlo all’aeroporto. Tra l’altro sembra che sia stata proprio quella mano infortunata a far rinunciare Torino dal provare Sojourner.
Immaginarsi la sorpresa di Di Fazi e Pentassuglia quando lo videro in quelle condizioni. “Come cavolo farà a giocare” si domandò invece Brunamonti insieme agli altri compagni. Ma Sojourner continuava a ripetere “no problem”.
Infatti, pochi giorni dopo, dette la prima prova della sua bravura contro una di quelle formazioni estive itineranti di giocatori americani, la Pro-Keds, guidata da Jim Mc Gregor. Sojourner incantò tutti segnando 32 punti: al Palaloniano non si era mai visto un pivot così dinamico, atletico, moderno nella tecnica che schiacciava e stoppava a più non posso. E poi quella palla gestita con una mano sola, lassù in alto dove nessuno poteva prenderla. Aveva già conquistato tutti. A fine partita i tifosi erano ammaliati e volevano che Sojourner firmasse subito per la Brina. Ma Pentassuglia e Di Fazi erano più prudenti: “Vediamolo domani nell’amichevole di Siena – dicevano – e poi c’è quella mano fasciata”.
E già, perché quella mano sinistra preoccupava tutti. E così si andò a Siena. Sojourner doveva giocare contro il compianto Enrico Bovone (2.10) e Carl Johnson, pivot bianco di 2.08, non bello a vedersi ma concretissimo e affidabile, tanto che era al suo quarto anno col Sapori, che militava in A1.
Contro Siena, Willie non entrò in quintetto base. Elio temeva che la partita del giorno prima contro la Pro-Keds fosse stata troppo facile. Sapete com’era: le squadre di Mc Gregor praticavano il corri e tira, difendevano in maniera un po’ allegra, c’era poca strategia, tanto uno contro uno, tutti i giocatori volevano mettersi in mostra e, infine, quella squadra non aveva un centro veramente temibile. Invece, contro le micidiali zone del Sapori di Ezio Cardaioli, sarebbe stata molto più dura e poi quei 4 metri e 20 di Johnson e Bovone facevano po’ paura ad affrontarli con un pivot che aveva una mano fasciata.
La partita andava avanti e ancora Pentassuglia non metteva in campo Sojourner. Di Fazi più di una volta lo esortò: “E fallo entrà!” gli diceva. “E allora?” insisté. E alla fine Willie entrò. Subito palla a lui, schiena a canestro, pallone gestito con una sola mano, finta a sinistra, Johnson abbocca, Sojourner si gira dall’altro lato, gancio, due punti. Va in attacco Siena. Palla a Bovone che va subito uno contro uno: serie di finte e palleggi, Willie non si scompone. Tiro, stoppata di Sojourner che manda la palla alle stelle. La Brina torna in attacco. Palla a Willie, sfera sempre tenuta con una sola mano – poverino, l’altra è fasciata – serie di finte. Johnson abbocca, Sojourner entra in area e piazza una schiacciata che fa tremare il palazzo.
Willie andò avanti così per tutta la partita segnando 43 punti, aggiungendo magici assist e vagoni di rimbalzi. Intanto bastava guardare le espressioni sul volto di Italo Di Fazi che, incredulo, dava delle gomitate ad Aldo Faraglia col quale se la rideva come un bambino che aveva appena rubato il barattolo della cioccolata e sapeva che non avrebbe potuto essere scoperto.
A fine incontro nessuno, senesi compresi, credeva ai propri occhi. Pentassuglia voleva subito firmare Sojourner, Di Fazi avvisò Milardi che diede l’ok. Fu informato Percudani. Intanto si cominciò a parlare con Willie per capire quanto volesse per restare a Rieti e lui rispose: “Non posso firmare”.
Tutti pensavano: “Il solito gioco al rialzo oppure vuole aspettare i professionisti” non sapendo che per lui quello era un capitolo ormai chiuso. Di Fazi insistette: “Perché non puoi firmare?”.
E Sojourner, serafico e sorridente, come tutti avrebbero imparato a conoscerlo nei sette anni successivi, rispose: “Ho la mano fasciata, non posso scrivere: io sono mancino!”.
Era nata una delle più grandi leggende del basket italiano: la sorte aveva catapultato a Rieti un vero e proprio deus ex machina.
Infatti, tutto quanto raccontato fino ad ora, dirigenti straordinari e appassionati, solida tradizione societaria, massiccia presenza dei tifosi, non sarebbe stato sufficiente a completare il Sebastiani Dream senza l’arrivo di un campione straordinario come Willard Leon Sojourner il quale rappresentò la vera e definitiva svolta.
La presenza di un centro vero infatti eliminava qualsiasi lacuna in quel settore, e portava all’interno della squadra una saggezza tattica che fino ad allora non aveva mai toccato certi vertici. Tutti ne trassero beneficio: l’allenatore, perché aveva in campo un suo ascoltatissimo alter ego, i compagni di squadra perché avevano un punto di riferimento ben preciso. Grazie a lui tutti quanti sapevano di poter prendere qualche rischio in più in difesa perché, anche se l’avversario fosse sfuggito, c’era sempre Willie a presidiare l’area dei tre secondi pronto a mollare una stoppata che induceva il malcapitato di turno a pensarci due volte prima di avventurarsi di nuovo sotto canestro. Non per nulla a ben 22 anni dal suo addio all’Italia Sojourner è ancora tra i primi 25 rimbalzisti del campionato e, soprattutto, è ancora oggi il 4° stoppatore del campionato italiano (con sole 7 stagioni all’attivo!) dietro a Dean Garrett (6 campionati), Ario Costa (23 campionati) e Dan Gay.
Sojourner fu soprannominato Zio Willie perché non lesinava mai consigli o aiuti a nessuno ed era una vera e propria sicurezza. Il suo obiettivo finale era sempre e soltanto la vittoria, quindi non soffriva di gelosie verso i compagni, italiani o americani che fossero. Infatti non ha mai inseguito la classifica cannonieri e negli anni a venire, con due americani in campo, quasi sempre sarebbe stato il secondo colored quello a segnare di più.

Una volta sola, nel torneo amichevole di Cava dei Tirreni, Sojourner non passò più la palla a nessuno perché Pasquetti gli aveva detto che il miglior realizzatore della manifestazione sarebbe stato premiato con un Rolex d’oro.
La mattina successiva, ricevimento in Comune su invito del Sindaco di Cava, dov’era Willie? Sparito. Si sentivano degli applausi nella sala accanto dove era in corso una cerimonia di matrimonio, Willie era lì, a farsi fotografare mentre baciava la sposa e salutava gli invitati. Gli piaceva quell’orologio e avrebbe desiderato vincerlo, ma questo dimostra che Willie non era attaccato al denaro, perché lui non ha mai sollevato il minimo problema economico. È stato l’unico americano che non aveva un contratto scritto. Tutto sulla parola. Questo aspetto rende già l’idea dell’unicità del personaggio.
Un capitolo a parte erano le schiacciate. Rieti veniva da tre stagioni con Bob Lauriski: bravo giocatore, buon tiratore ma atleta normale e poco spettacolare. Willie invece fu tra i primi in assoluto a deliziare l’Italia col gesto tra i più spettacolari in assoluto di tutti gli sport e che, basta guardare la gara delle schiacciate nell’NBA, è ormai assurto a vera e propria arte. Ebbene Sojourner fu tra i primi artisti in Italia dell’affondata a canestro, grazie anche alle smisurate mani che gli permettevano, di gestire il pallone con una mano sola come farebbe un uomo normale con una palla da tennis. A proposito di Erving: “Vedi le mie mani? – diceva Willie mostrando i suoi badili – quelle di Julius sono così” e ci aggiungeva altri 3-4 centimetri.
Quando Willie, in posizione di post alto, in lunetta, prendeva la palla con una mano sola mentre i compagni si smarcavano lui decideva, dopo aver sistematicamente mandato a farfalle chi cercava di togliergli la sfera, se sparare un assist da favola o concludere col suo magistrale e immarcabile gancio ambidestro che negli Stati Uniti gli era valso il soprannome di Rainbow (arcobaleno) sia per la plasticità dell’esecuzione che per la micidiale efficacia. “I primi tempi ho preso da lui un sacco di pallonate in faccia — spiegherà Roberto Brunamonti – perché faceva dei passaggi incredibili e inaspettati. Ma col tempo ci siamo abituati e abbiamo imparato a capirlo. Avrebbe fatto segnare anche un somaro”.
E fin qui abbiamo solo parlato di tecnica ma Zio Willie si rivelerà, un grande campione di umanità e simpatia anche fuori dal campo tanto da poterlo senza dubbio considerare il Magic Johnson di Rieti.
Willy e il Rolex d’oro…è vero, gli piaceva tanto che se lo comprò, un Oyster perpetual con il quadrante color ebano, un’autentica raffinatezza sul suo polso destro. Era la fine di giugno del 1976. I Rolex, allora, si potevano acquistare (o, meglio, ordinare) soltanto nella gioielleria di Giancarlo Passi in via Garibaldi, dove si veniva ricevuti nell’accogliente salotto che alternava modernissimi cubi in cristallo alle vetrine liberty dei Nicoletti. Un Rolex piaceva anche a me, e lo ottenni in regalo per la mia laurea – la prima, in Filologia classica, conseguita a 22 anni. Scelsi anch’io un Oyster, quadrante oro sabbiato, e Willy presente anche lui in attesa di ricevere dalla Svizzera il suo orologio mi sconsigliò, con straordinaria e inaspettata prudenza: quando sarai vecchia, mi disse, avrai difficoltà a vedere le lancette. Quante volte ci ripenso…
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Grazie Ileana per questi tuoi ricordi vibranti che fotografano intrecci di vite nella città di Rieti.
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