UNA CITTÀ E LA SUA FABBRICA: LA STORIA DELLA SNIA VISCOSA A RIETI

a cura di Annamaria Di Gregorio

La storia degli ultimi novanta anni della città di Rieti non può prescindere dalla storia della sua fabbrica: la Supertessile poi Snia Viscosa, una storia che ha prodotto indelebili ripercussioni sul tessuto urbano, sociale ed economico della città e dei suoi dintorni, una storia di simbiosi ed al contempo di parassitismo, una storia lunga quasi un secolo e ancora da concludersi.

Per lo sfruttamento della tecnologia della viscosa nella produzione di seta artificiale il barone Alberto Fassini creò nel 1916 con sede a Roma la Società Generale Italiana Viscosa. Da quel primo organismo «è disceso col passare degli anni un intero gruppo industriale per la produzione dei tessili artificiali: il gruppo «Cisa-Viscosa», composto [nel 1938] di ben nove società…»1. Di questo gruppo venne a far parte la Supertessile di Rieti, che costituiva, insieme agli stabilimenti di Napoli e di Roma, la propaggine nel centro sud della prima industrializzazione padana. La nascita della fabbrica a Rieti fu stabilita da una convenzione2, firmata a Roma davanti al notaio Francesco Stame in data 03 febbraio 1925, tra il barone Alberto Fassini, a nome della Cisa-Viscosa ed il Comune di Rieti, rappresentato dal podestà Alberto Mario Marcucci. Le perdite per la mancata riscossione dei dazi comunali sui materiali per la costruzione dello stabilimento, del villaggio operaio e per la cessione a titolo gratuito delle risorse idriche di cui la fabbrica aveva primaria necessità, furono il prezzo che il Comune di Rieti pagò per convincere il barone Alberto Fassini a localizzare l’industria delle fibre artificiali a Rieti in alternativa a Sulmona, Civitavecchia, Venezia e Viterbo.

Mussolini, nella sua visita ufficiale in Sabina del 12 ottobre 1924, secondo lo storico dell’epoca Filippo Fenoaltea, ‹‹accoglieva le calorose insistenze del Podestà On. Marcucci e si pronunziava per Rieti come sede del nuovo e grande stabilimento››3. In realtà il barone Alberto Fassini aveva precedentemente inviato un telegramma in data 11 ottobre all’avvocato Marcucci concernente la sua decisione di scegliere Rieti ‹‹come sede del grandioso stabilimento››4 e la propaganda del tempo aveva la necessità di volgere a sua vantaggio tale scelta. Del pensiero del Duce ne fa testimonianza la lettera di ringraziamento che egli scrisse al barone Fassini: ‹‹per compiacer[s]i dell’iniziativa, dal punto di vista economico nonché nazionale e sociale. Credo che la località sia eccellente; città e circondario avranno nuova vita. Accolga quindi, il mio plauso di italiano e di Capo del Governo. Cordiali saluti. Mussolini››5. Nei primi giorni di ottobre del 1925 fu posta la prima pietra e passarono tre anni prima della messa in funzione dello stabilimento. I terreni, appartenenti a piccoli proprietari e alle famiglie aristocratiche Marcucci, Maraini e Potenziani, furono oggetto di una compravendita, come documenta l’atto del Municipio menzionante l’accordo ‹‹tra l’ing. Pietro Lanino, nell’interesse della società Supertessile e il Reverendo Marino Bonafaccia […] per sé e per gli altri comproprietari e aventi diritto – dei quali in proprio garantisce il consenso al presente atto – si obbliga a vendere alla Società Supertessile, per la quale si obbliga ad accettare l’ing. Pietro Lanino, il fondo in via Camporeatino n.° 702, sito in Rieti, per il prezzo unitario di lire cinquemilacinquecento per giunta reatina pari a m. q. milleseicento››6

Le ingenti risorse idriche, di cui un’azienda tessile aveva necessità, erano state opportunamente convogliate dal Cantaro verso lo stabilimento industriale, sopprimendo l’uso pubblico di «due molini di proprietà del comune posti nell’interno della Città denominati di S. Spirito e delle Canali»7. Oltre alle vie di comunicazione e alle risorse naturali l’azienda doveva disporre di personale sufficientemente istruito e affidabile, ma le condizioni fisiche e culturali della popolazione reatina non erano adatte a tale compito. L’azienda risolse il problema della manodopera qualificata con l’aiuto dei parroci dei paesi del Veneto, che affissero alle porte delle Chiese avvisi di lavoro per la Viscosa di Rieti e facendo svolgere al personale reatino dei corsi di apprendistato alla Cisa di Roma. Il villaggio operaio fu creato per supportare il flusso di manodopera proveniente in prevalenza dalle province di Pavia, Rovigo e Padova. La sua gestione fu affidata all’ONAMRO, Opera Nazionale per l’Assistenza Morale e Religiosa degli Operai, che era chiamata ad assistere il dopolavoro degli operai attraverso corsi educativi e professionali maschili e laboratori femminili, per la «produzione di manufatti di uso comune, di facile confezione e di indumenti di lavoro quindi […] ottenere le relative ordinazioni da Enti, Industrie e Istituti»8. Da ultimo l’ente dava assistenza spirituale e morale alle maestranze e organizzava feste, ricorrenze e riti religiosi.

L’implementazione dell’azienda era stata realizzata al fine di consentire l’autonomia dello stabilimento e il pieno assenso delle maestranze controllate in fabbrica da intensi turni di lavoro e “assistite” fuori dal lavoro con servizi finanziari, culturali, ricreativi e spirituali. La localizzazione dello stabilimento avvenne infatti secondo i canoni tipici di un modello d’industrializzazione che teneva fuori dalla cinta muraria cittadina le nere ciminiere, simbolo di concentrazione operaia e di conflitto sociale.

Lo stabilimento entrò in funzione nell’ottobre del 1928 e dopo il primo anno furono impiegate «2.375 maestranze, di cui 2.313 operai, 38 personale tecnico, 23 personale amministrativo e 1 personale direttivo»9. La manodopera locale arrivava in bicicletta dai paesi del circondario e al tempo l’azienda faceva credito per l’acquisto a rate di questo mezzo di locomozione. La complessità e la pericolosità delle attività produttive per la salute degli operai, costretti a respirare le esalazioni degli acidi, a causa delle condizioni insalubri in cui si svolgeva il lavoro, specie nei reparti a monte, quelli chimici, ma anche in quelli del candeggio delle matasse, in cui era prevalente la manodopera femminile. Le esalazioni di solfuro di carbonio erano l’origine di una grave intossicazione dell’apparato celebrale, il solfocarbonismo, il cui riconoscimento come malattia professionale da parte dell’INAIL avvenne in tre momenti: prima nel 1929 nei reparti chimici, poi nel 1938 in quelli di filatura e lavaggio e solo nel 1956 l’estensione fu all’intera filiera produttiva. Il mercato delle fibre artificiali si caratterizzava per l’esistenza di grandi stabilimenti che richiedevano l’uso di complessi impianti e portavano alla creazione di monopoli al fine di ottenere delle economie di scala; leader in tale politica fu la Snia-Viscosa. L’azienda nacque a Torino nel 1917 e, sotto la gestione di Riccardo Gualino, la società abbandonò il business dei trasporti marittimi per concentrarsi nella fabbricazione della seta artificiale costituendo un intreccio di accordi nazionali ed internazionali tra aziende dello stesso settore o collaterali, che la portò nel 1925 ad essere «il primo titolo di un’azienda italiana quotato in borse straniere»10. L’espansione della Snia a partire da quella data divenne stabile e sicura, ma già nel 1926 il mercato internazionale dava segni di sovrapproduzione riducendo drasticamente il prezzo delle fibre artificiali e molte aziende come la Snia entrarono in crisi di liquidità. Ciò portò all’uscita di scena di Riccardo Gualino, confinato da Mussolini nelle Isole Eolie e alla sua sostituzione con Franco Marinotti che riuscirà a razionalizzare la conglomerata e a riportare la Snia ad essere centrale negli scambi internazionali di quel periodo al pari delle concorrenti europee come l’inglese Courtald, la tedesca Glanzstoff e la francese Comptoir. La politica autarchica del regime fascista aveva come obiettivo quello di rafforzare le riserve valutarie al sostegno della lira e ciò fu ottenuto garantendo da una parte bassi salari, al fine di ridurre i costi di produzione delle aziende e migliorare la loro competitività sui mercati internazionali e dall’altra incrementando in modo considerevole la produzione del fiocco, che per le sue qualità tecniche si prestava ad essere utilizzato nelle industrie laniera e cotoniera e riducendo le importazioni delle materie prime. I riflessi di questa politica sull’azienda reatina sono resi noti dalla rivista del sindacato fascista sabino «La Fiamma», che nel 1933, a proposito del rinnovo del contratto alle maestranze della Supertessile, si pronunciò negativamente sulla «riduzione salariale richiesta dall’azienda nella misura del 20 per cento in epoca successiva alla riduzione nazionale dell’8 per cento»11.

Durante la seduta del 12 giugno 1939 del consiglio di amministrazione della Snia-Viscosa, Franco Marinotti, «lesse un comunicato diffuso la mattina stessa via radio a Roma: “Il Duce ha ricevuto i Consiglieri Nazionali Franco Marinotti, presidente della SNIA Viscosa e il barone Alberto Fassini, presidente del gruppo CISA Viscosa, i quali hanno sottoposto un loro progetto di unione delle rispettive aziende ai fini di un maggior potenziamento dell’industria italiana delle fibre tessili artificiali. Il Duce, dopo aver attentamente esaminato il progetto nei suoi vari elementi finanziari, industriali e commerciali, lo ha approvato, ordinandone la rapida esecuzione”»12. La fusione tra la Snia-Viscosa e la Cisa-Viscosa aveva il principale scopo di affrontare al meglio l’aumento delle barriere doganali che l’avvio della seconda guerra mondiale avrebbe di lì a poco provocato e di far fronte alla «marcata tendenza verso un sostenuto e ipercontrollato consumo nazionale»13 che la produzione di fiocco doveva sorreggere.

Continua a leggere il resto del contributo estratto da Annamaria Di Gregorio, La Viscosa: Il caso Snia di Rieti, Tesi di Master in Innovazione e impresa, Università degli studi di Perugia, in collaborazione con I.C.S.M., Istituto di storia e cultura d’impresa, Terni


 

[1] F. Fenoaltea, «Alexandria», Rivista mensile della provincia, A. VI, n. 8, luglio 1938, p. 228.

[2] Archivio della camera del lavoro di Rieti (d’ora in avanti ACLR), Versamento privato, Cartella A, Fascicolo 1, Convenzioni intercedute fra il Municipio di Rieti e la Società Anonima Supertessile, 14 gennaio 1925, Repertorio n. 29752., Rogito n. 8022., Registrato a Roma il 3 febbraio 1925 al n.15037 reg. 438 Atti Pubblici.

[3] F. Fenoaltea, Supertessile, «Turismo d’Italia», numero monografico dedicato alla Sabina, A. XIII, n. 6-7, Roma, Libreria del Littorio, 1938, p. 26.

[4] ACLR, Versamento privato, Cartella A, Fascicolo 1, Telegramma da parte della Viscosa al Sindaco Marcucci, 11 ottobre 1924, Archivio Comunale di Rieti, Protocollo 7530, Cat. 2, classe 3, Fascicolo 7.

[5] R. Lorenzetti, N. Ravaioli, Storia dell’industria nel reatino, Associazione degli industriali della provincia di Rieti nel 50esimo dell’Associazione 1944-1994, A.C. Grafiche, Cerbara (PG), 1995, p. 89.

[6] ACLR, Versamento privato, Cartella A, Fascicolo 1, Contratto di compravendita, Atto del Municipio di Rieti, 13 novembre 1924

[7] ACLR, Versamento privato, Cartella A, Fascicolo 1, Delibera del consiglio comunale di Rieti, Sessione Straordinaria, Verbale N. 441, 22 novembre 1924, oggetto: concessioni economiche alla Società “Viscosa” per l’impianto di uno stabilimento industriale.

[8] ACLR, Versamento privato, Fascicolo 1, Giubilare dell’Opera Nazionale per l’Assistenza Morale e Religiosa degli Operai, Dodici anni di vita, 1922-1933, Roma, Società Anonima Poligrafica Italiana, p. 33.

[9] R. Lorenzetti, N. Ravaioli, Storia dell’industria nel reatino, op. cit., p. 94.

[10] M. Spadoni, La SNIA 1917-1939. Dai trasporti marittimi alle fibre tessili artificiali, «Nuova Economia e Storia», n. 1, 1997, p. 81.

[11] «La Fiamma», Giornale del fascismo sabino, A. X, n. 37, 1933.

[12] M. Spadoni, La SNIA 1917-1939. Dai trasporti marittimi alle fibre tessili artificiali, op. cit., pp. 97-98.

[13] Ivi, p. 96.