LUIGI FIORI: UN PARRUCCHIERE MODERNO IN CITTÀ

di Egisto Fiori

Gli anni ‘60 furono un periodo di grande rivoluzione anche dei costumi. Dagli Stati Uniti all’Europa, le nuove generazioni cominciarono a rifiutare i modelli sociali esistenti ed anche il modo di vestire ed acconciare i capelli subì una svolta irreversibile. Le donne cominciarono ad indossare pantaloni, minigonne, maglie attillate e nelle strade e nelle università, cominciarono ad apparire anche i primi “capelloni”. I capelli lunghi diventarono uno dei simboli della rottura con la società adulta, un modo per mettere in discussione il maschilismo, l’oppressione, il consumismo, il perbenismo borghese. Queste forme di rifiuto si diffusero rapidamente, cambiando per sempre il rapporto tra il genere maschile e femminile, la concezione del lavoro e del tempo libero. Vecchi codici comportamentali vennero abbandonati per assumerne altri considerati dagli adulti e dalle istituzioni scandalosi e pericolosi. Tribunali e censori furono in quegli anni, molto impegnati nella repressione di un nuovo modo di concepire il mondo e l’esistenza e ciò accadde molto prima delle grandi contestazioni studentesche seguite al Maggio francese. Non casualmente, uno degli slogan più significativi dell’epoca fu “Vietato vietare”. I capelli dei giovani, già considerati scandalosi quando coprivano orecchie e fronte, si fecero sempre più lunghi. I primi capelloni, soprattutto in una piccola città di provincia come Rieti, non ebbero vita facile. Non mancarono di certo i detrattori, le polemiche e sovente, veri e propri atti di violenza consumati anche tra le mura domestiche. Naturalmente, l’avversità mostrata dai “matusa”, aveva origine non tanto in motivazioni di carattere estetico quanto nell’efficacia di un messaggio non scritto, nell’esplicita provocazione sessuale, che tramite l’uso di stivaletti, di un vestiario dai colori sgargianti, di collanine, bracciali, orecchini e capelli lunghi, metteva in discussione consolidati stereotipi maschili. Lo scontro generazionale è ben rappresentato dai commenti ai filmati d’epoca proposti in questo spazio.

Negli anni ‘60, le ragazze cominciarono ad utilizzare un trucco molto marcato, capelli lunghi e cotonati, pantaloni attillati, magliette aderentissime e le immancabili minigonne, spesso tagliate poco al di sotto dell’inguine. Uno dei veicoli principali della contestazione fu senza dubbio rappresentato dal rock inglese e statunitense, incarnato da icone che rapidamente oltrepassarono ogni confine geografico e linguistico e che insieme alle star del cinema, contribuirono molto alla creazione di un fenomeno di massa, molto stratificato e differenziato, da cui si originò ben presto anche una moda.

A Rieti era il tempo del “Festival dei Complessi”, quasi un passaggio obbligato per i gruppi musicali dell’epoca. Alcune delle band si fermavano in città per giorni, provando i nuovi brani in concorso nei numerosissimi club disseminati entro le mura medievali, spesso gestiti dai tanti complessi musicali reatini. All’epoca, le canzoni di Lucio Battisti, originario di Poggio Bustone, cominciavano ad essere parte importante della storia della canzone italiana e il jazz poteva avvalersi del contributo di Gino Marinacci, civitese d’adozione. «Oggi al lavoro, sono venuti i beat» mi raccontò mio padre una sera. Non ricordo a quale gruppo musicale si riferisse ma quella volta appresi che anche i maschi, andavano dal parrucchiere per una “sistematina”, per farsi stirare i capelli o addirittura, per scegliere discretamente un toupet. Tra i complessi musicali maschili che frequentavano il parrucchiere e che parteciparono al Festival di Rieti, c’erano anche i Nomadi.

Ero troppo piccolo per ricordare ma clienti che allora frequentavano il negozio di mio padre giurano ancor oggi, di aver visto attrici molto famose in attesa per un’acconciatura. Mio padre, Luigi Fiori, si era infatti in poco tempo, fatto un nome e la sua intensa quanto breve carriera di parrucchiere per signora, non corrisponde solo al fatidico decennio degli anni ‘60 ma ne è in qualche modo espressione. La microstoria, quella che spesso emerge dagli archivi di famiglia, si interfaccia infatti con quella ufficiale, con quella dei territori, ne restituisce gli umori, i sentimenti, le espressioni anche linguistiche, le abitudini, le contraddizioni. Le foto d’epoca presentate in questa pagina, incarnano un immaginario femminile di donna moderna non necessariamente identificabile con quello più anticonsumistico e ribelle dei figli dei fiori ma comunque legato ad una trasformazione profonda della società italiana e di una città, quella di Rieti, ancora molto legata all’agricoltura. Si è già detto delle frequentazioni, sia pur occasionali, di personaggi legati al mondo dello spettacolo ma quello che forse è da mettere più in evidenza, è la grande spinta di trasformazione e di innovazione legata agli anni del cosiddetto boom economico.

Il mestiere di parrucchiere era negli anni del dopoguerra considerato ancora un lavoro umile ma negli anni ‘60, il cambiamento del contesto sociale ed economico del Paese e le nuove mode suggerite dal mondo dello spettacolo e dalle riviste femminili, provocò una piccola rivoluzione anche nel mondo dell’acconciatura. Mio padre, evidentemente, seppe cogliere il vento di mutamento e le nuove esigenze del variegato universo femminile. Giovane tra i giovani, dopo un breve apprendistato presso un parente di Roma, aprì la sua prima attività in un piccolo locale. Sin dall’inizio, l’attività di questo emigrante del Cicolano trasferitosi da poco a Rieti, fu ben apprezzata e mi ricordo i trofei ben esposti già nel primo minuscolo locale di Via Terenzio Varrone.

Nel 1965, come riportano le cronache dell’epoca, vinse il primo “Oscar nazionale d’argento dell’acconciatura”, concorso promosso da una rivista femminile allora molto nota e da un altrettanto conosciuta casa di prodotti cosmetici. Le lettrici erano invitate a compilare un tagliando presente nella rivista indicando il loro parrucchiere preferito. Luigi Fiori raccolse 988 voti, risultando così anche il parrucchiere preferito dalle reatine. Il suo locale, definito lussuoso anche da alcuni articoli tratti dalla stampa locale, fu sicuramente il primo in città a presentare delle caratteristiche che in seguito si diffonderanno enormemente. All’arredamento in stile classico, si coniugava una fornita profumeria ma anche, fatto che ancora una volta ritengo inedito, un’apposita saletta dotata di lampada al quarzo. In definitiva, anche se l’insegna indicava il coiffeur, forse il locale fu il primo salone di bellezza di Rieti.

Luigi partecipò anche a concorsi che si tennero all’estero. In queste pagina sono riportate delle foto scattate in Austria, durante un viaggio affrontato con il suo grande amico e collega Nanni Del Grande. Sulla professionalità dei due parrucchieri credo ci sia poco da discutere. Da quell’esperienza scaturì tra l’altro una generazione di giovani parrucchiere, alcune molto note e di recente, ancora in attività. Tra queste mi piace ricordare Anna Floridi ma furono molte le giovani con cui ho condiviso quei locali, l’odore di capelli bagnati, di lacche e soprattutto parte della mia infanzia. I ricordi personali però, non sono solo olfattivi o affettivi. C’era una catasta di 45 giri che veniva diffusa dai primi mangiadischi e anche in questo senso, forse possiamo parlare di una novità. Oltre ai successi del momento infatti, era possibile ascoltare autori allora sconosciuti o quasi, in città. Tra questi c’era Fabrizio de André. Ho imparato a cantare le sue canzoni a sette anni e considero questo, uno dei regali più belli ricevuti da mio padre e da un’epoca straordinaria.