“COME FAVOLOSI FUOCHI D’ARTIFICIO”: UN DOCUMENTARIO DI LINO DEL FRA

a cura di Patrizia Cacciani

«Correvamo insieme per le strade, sviscerando le cose in quel modo di allora che poi diventò tanto più triste e acuto e vuoto. A quel tempo danzavamo per le strade come pazzi, e io li seguivo a fatica come ho fatto tutta la vita con le persone che mi interessano, perché le uniche persone che esistono per me sono i pazzi, i pazzi di voglia di vivere, di parole, di salvezza, i pazzi del tutto e subito, quelli che non sbadigliano mai, che non dicono mai banalità, ma bruciano, bruciano, bruciano come favolosi fuochi d’artificio gialli che esplodono simili a ragni sopra le stelle e nel mezzo si vede scoppiare la luce azzurra e tutti fanno “Ooooh!”»1. Così scriveva Jack Kerouac sul suo libro On the road nel 1951. Pubblicato nel 1957 diventerà il manifesto politico della beat generation.

Nel patrimonio dell’Archivio Storico Luce c’è il documentario Come favolosi fuochi d’artificio, prodotto dall’Istituto Luce Spa nel 1967, per la regia di Lino Del Fra. Scrive Lino del Fra: «Se per cinema politico si intende quello che si occupa in maniera diretta e senza mediazioni della dialettica infernale delle classi, ideologie, stati, sistemi economici e individui – in cui siamo tutti coinvolti –, e se ne occupa con un intento di lotta culturale, di partecipazione, di orientamento e quindi non di meschina parzialità, allora c’è da dire che per questo cinema la vita in Italia (e altrove) non è facile e ancora meno lo sarà nel futuro. È bene quindi non essere ottimisti, pur rimanendo testardamente a tentare […]»2.

Il documentario porta un titolo autorevole ripreso da una frase dal libro, ma le due narrazioni sono lontane. Il romanzo è autobiografico, a capitoli, racconta la storia di giovani americani in viaggio, fatta da innumerevoli esperienze compresa la droga ed il sesso libero, nel loro Paese, il documentario è un giudizio critico di quel movimento che negli anni Sessanta arriva anche in Italia. E del resto il punto di vista di un autore che si occupa di cinema politico, ben si coniuga con il modello di società che l’Istituto Luce doveva rappresentare.

I giovani vengono giudicati nei loro slanci ideali e nei loro limiti politici. Vengono considerati solo un fenomeno commerciale: industria dell’abbigliamento, industria discografica. Soprattutto non lavorano. Il loro vivere senza occupazione bighellonando per le strade con performance improvvisate che privilegiano l’aspetto ludico della vita, li fa identificare con soprannomi insultanti come capelloni e beatnik: termini dispregiativi entrambi. Il primo sinonimo di poca pulizia ed ordine, il secondo è la congiunzione tra beat e sputnik. Come lo sputnik anche loro sono satelliti dell’Unione Sovietica.

All’interno del documentario c’è un breve accenno ad una storia personale. Un sintetico spaccato di un professore della beat generation che insegna a Torino. Non si dice il nome, viene ripreso mentre declama una sua poesia. Si chiama Gianni Milano, insegna alla Scuola “G. Casati” di Racconigi. Il maestro capellone, questo il titolo dell’articolo sul quotidiano torinese «La Stampa» del 25 ottobre 1967. La foto sembra scattata mentre veniva ripreso il documentario. Il 31 marzo 2017 nella pagina dedicata alla Torino retrò viene ripreso l’articolo. Il maestro non è più capellone, ma hippie. Di lui si viene a sapere poco di più: è in pensione e scrive saggi e poesie3. Su wikipedia scopriamo la sua voce: il professore, oltre ad aver lavorato quaranta anni nella scuola, ha dato corpo alle sue idee attraverso esperienze alternative e anticonformiste, in sintonia con le istanze educative del pedagogista Célestin Freinet4.


[1] J. Kerouac, Sulla strada, traduzione di Marisa Caramella, Milano, Mondadori, 2009, p. 10.
[2] L. Del Fra, Tutto il cinema è politico. Intervista, «La storia del cinema», A. I, 21 settembre 1966.
[3] F. Callegaro, Un hippie alle elementari, «La Stampa», Torino, 31 marzo 2017,  <http://www.lastampa.it/2017/03/31/cronaca/retro/un-hippie-alle-elementari-sM0IpQvdX6AI8NqFbUev8M/pagina.html&gt; (ultima consultazione: 13 febbraio 2018).
[4] Un buon documento dalla rete per sapere di più su Freinet: R. Tassi, P. Zani (a cura di), I saperi dell’educazione, Seconda edizione, Bologna, Zanichelli, 2015,<http://online.scuola.zanichelli.it/isaperi/files/2015/07/Tassi-2ed_Novecento-SezD_Freinet.pdf&gt; (ultima consultazione: 13 febbraio 2018).