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Questa è la quarta pubblicazione del pcto “L’Officina di Didattica Luce in Sabina”.

Nicole Pietrotti ricostruisce con un racconto immaginato in prima persona la storia, che si tramanda nella sua famiglia da parte materna, del nonno Francesco, migrante dalla Calabria alla Svizzera, ancora minorenne. Fabio De Sibi ci porta invece, attraverso disegni suoi e di alcuni compagni di classe, nell’adolescenza della madre Carmen negli anni Ottanta. E poi abbiamo due narrazioni che riguardano i motori. Da un lato Gaia Bianchetti dà voce all’officina del nonno Mario, dall’altro Edoardo Angelucci, con un lavoro di gruppo, parte da un ricordo del nonno Roberto su Dino Franceschini per andare a rintracciare un articolo in cui veniva data la notizia dell’incidente automobilistico in cui trovò la morte.

In copertina stavolta abbiamo la piazza principale di Rieti in una giornata estiva, negli anni Sessanta.

Immagine di copertina: Archivio di Stato di Rieti, Fondo EPT della Provincia di Rieti, Rieti, Piazza Vittorio Emanuele II. Illustrazione di Jacopo Romani.

Sono nato nel 1942 in Calabria da una famiglia umile. Mio padre aveva una piccola attività in paese, faceva il barbiere. Il suo lavoro gli permetteva di sostentare la famiglia con dignità, fin quando a causa della guerra gli unici ad entrare nel suo esercizio rimasero i militari tedeschi, che non pagavano nemmeno. Così mio padre fu costretto a chiudere l’attività, e per andare avanti continuò a fare quel mestiere ma a domicilio, spostandosi di paese in paese. Quando avevo intorno ai cinque o sei anni papà iniziò a portarmi con sé, perché diceva che dovevo imparare il mestiere, perché un giorno mi sarebbe servito. La mattina presto, quando era ancora buio facevamo kilometri a piedi per raggiungere altri paesi e località sperdute tra le campagne. Quasi mai venivamo pagati in denaro, ma ci veniva offerto quello che la gente poteva dare: delle uova, del pane, prodotti della terra.

Per anni sono andato in giro con mio padre a strappare la pagnotta. Per anni ho camminato con la calura e con il gelo. Ho imparato quel mestiere che tanto desiderava facessi.

Lui iniziò a stare poco bene. Forti dolori alle ossa e problemi respiratori sempre più frequenti gli impedirono di poter lavorare, eppure era ancora un uomo giovane. Da quel momento la situazione precipitò e ci ritrovammo senza niente. Vedevo la disperazione di mia madre che non sapeva più quale santo pregare per sfamare me e i miei due fratelli più piccoli. Dei giorni non c’era davvero niente da mangiare, così mamma mi mandava a raccogliere nei campi erbe amare, che poi lessava. Ancora ricordo quel sapore aspro, ma era l’unica cosa da poter mettere sotto i denti e lenire i crampi allo stomaco per la fame.

Ho cercato come ho potuto di aiutare la famiglia. Avevo quasi quindici anni quando ho iniziato a maturare l’idea di andare via dal paese per cercare fortuna e mantenere i miei cari. Essendo il figlio maggiore, toccava a me rimboccarsi le maniche. Mi ero convinto che la cosa giusta da fare fosse raggiungere la Svizzera, dove altri miei compaesani si erano trasferiti trovando lavoro. Non ci ho rimuginato tanto, non ne avevo il tempo. Decisi e basta che sarei andato via. I miei genitori non erano contenti del mio progetto e cercarono di farmi cambiare idea, senza successo.

Quella mattina di inverno non la scorderò mai. Non aveva ancora fatto giorno ed era molto freddo. Sull’uscio di casa abbracciai mio padre e mia madre, che mi diede un fagotto con dentro un pezzo di pane ed una borraccia d’acqua, e mi mise in mano poche lire, tutto ciò che avevano. Iniziò così il mio viaggio, a piedi, per raggiungere la stazione di Gioia Tauro. Quel tragitto sembrava infinito, qualche volta ho anche pensato di tornare indietro. Per far prima passai tra le campagne, ma in preda alla paura ebbi l’impressione che gli alberi si muovessero verso di me. Ho pregato il Signore che mi desse la forza di continuare il mio cammino, e finalmente fatto giorno arrivai a quella benedetta stazione, con le mani e i piedi intorpiditi dal freddo.

Non avevo mai preso un treno in vita mia, sapevo però che non dovevo farmi vedere dal controllore, dato che ero sprovvisto di biglietto, non avendo avuto i soldi per comprarne uno. Non avevo fatto i conti col fatto che da quella stazione non partivano treni per la Svizzera, così pensai che il modo più facile per raggiungere Ginevra fosse prendere il primo treno che andava verso nord.

Salii e feci quasi correndo tutti i vagoni, e quando mi resi conto che non potevo stare in nessuno di quelli scesi dal treno e continuai a correre per tutta la lunghezza, finché non trovai un vagone strano con una porta molto grande. Entrai, era un carro merci. C’erano pacchi dappertutto, di ogni grandezza, e mi nascosi tra questi. Chiusero quella porta e dopo poco il treno iniziò a muoversi. Realizzai che ormai era fatta, ero partito, inconsapevole che da lì sarebbe iniziata la mia odissea.

Non avevo ancora abbandonato la stazione di Gioia Tauro che con mia sorpresa vidi sbucare da dietro quelle merci altre persone. C’erano uomini, donne, bambini e ragazzi della mia età. Non ero solo, altri come me avevano pensato di andare via dalla loro terra, nelle mie medesime condizioni.

Con il passare delle ore la diffidenza diede spazio alla voglia di condividere il tempo insieme. C’era chi voleva raggiungere Milano, chi voleva andare in Francia, chi in Germania, tutti con l’intento di avere una seconda possibilità. Arrivammo a Napoli. Sul carro merci salirono altre persone e ripartimmo, destinazione Roma.

Arrivati, tutti i miei compagni di viaggio iniziarono a pregare che aprissero le porte. Siamo scesi dal carro quasi come dei delinquenti, e con una fuga rocambolesca si sparpagliarono tutti. Cercai quindi di seguirne qualcuno, anche perché non sapevo cosa fare e quale altro treno prendere.

Ci rinfilammo in un altro carro merci, questa volta eravamo in pochi. A Torino scesero tutti e mi ritrovai da solo, sperduto ed impaurito. Non avendo più nessuno da seguire, nella completa incertezza salii su un treno sperando mi portasse a destinazione. Arrivai a Genova, feci tutto il viaggio, spostandomi continuamente da un vagone all’altro. Iniziai ad essere provato. L’acqua ed il pane che mia madre mi aveva dato stavano per finire. Cambiai di nuovo treno per ritrovarmi ancora a Roma, e poi a Napoli. Ho fatto su e giù per l’Italia per giorni, ero bloccato in un circolo dal quale non riuscivo a tirarmi fuori. Non potevo abbattermi, non dovevo. Avevo promesso a me stesso che avrei raggiunto la Svizzera e così doveva essere. Persi la cognizione del tempo, arrivai al punto di non capire neanche più dove si fermassero i treni. Ero stanco, affamato, le forze mi stavano abbandonando. Un giorno a Salerno salii su un carro bestiame. Quel treno andava a Ginevra. Il mio cuore scoppiava, da un lato di gioia e dall’altro si riempiva di sconforto. Avrei fatto l’ultimo viaggio in mezzo a capre, mucche e maiali. Mi rannicchiai in un angolo, quasi sotto le zampe di una mucca, ed ogni volta che muggiva mi spaccava i timpani. Per fortuna c’era qualche persona con me, tutti del Sud, tutti con destinazione Svizzera. Lungo il tragitto, per due volte, salirono sul carro alcuni addetti che con degli enormi rastrelli raccolsero il letame e rifocillarono gli animali. Ci videro ma non dissero nulla, allora compresi che magari non era la prima volta che si trovavano in una situazione simile. Avevano avuto pietà di noi.

Quei giorni forse furono i più duri per me. I crampi allo stomaco non mi davano tregua, avevo le labbra così secche dall’arsura da essere piene di tagli. Ancora oggi ho ricordo di quell’odore nauseabondo degli animali con in quale fui costretto a convivere. Iniziai a stare male, sopraggiunse la febbre alta. Stremato dalla fame e dalla sete, ed ora anche ammalato, pensai davvero di non arrivare vivo a destinazione. Non ero più lucido, non riuscivo a parlare. Ho ricordi confusi di gente che probabilmente si era avvicinata in mio soccorso, che mi parlava, ma io non capivo. Sentivo solo un rimbombare, un eco nella testa.

Dopo oltre due settimane dal primo treno preso nella mia terra giunsi dove dovevo andare, solo che io di quel momento non ricordo quasi nulla. Ho ricordi sfocati di qualcuno che mi adagiava per terra, alla stazione di Ginevra e poi il nulla. E qui arriva il momento più particolare del mio viaggio.

Accadde una cosa che ha dell’incredibile. Svegliandomi, mi ritrovai di soprassalto in un letto, fradicio di sudore. Stropicciai gli occhi, vidi una stanza dove non ero mai stato. Impaurito mi domandai dove mi trovassi e come ci fossi arrivato. Ad un certo punto entrò nella stanza un uomo, che si avvicinò chiamandomi Ciccio, il mio soprannome, e dicendomi che finalmente mi ero svegliato. Stropicciai di nuovo gli occhi, lo guardai e mi resi conto che era il signor Vincenzo, un uomo originario del mio paese, che si era stabilito per lavoro in Svizzera da tempo, e circa ogni due anni veniva in Calabria a trovare la sua famiglia.

Mi abbracciò forte, mentre io piangendo di gioia capii che il mio incubo era finito. Chiesi com’ero andato a finire in casa sua ed il signor Vincenzo mi raccontò che giorni prima si trovava alla stazione per parlare di un lavoro che avrebbe dovuto eseguire. Era un fabbro ed aveva una bottega con qualche operaio. Mentre usciva da un ufficio della stazione si accorse che un ragazzo giaceva per terra e molte persone gli passavano accanto senza intervenire. Mi disse che si inginocchiò, girò il mio corpo e mi riconobbe immediatamente. Senza esitare mi prese in braccio e mi portò nella sua abitazione. Chiamò un dottore e fui curato. Al mio risveglio tutto avrei potuto immaginare tranne di essere stato salvato da un angelo, una persona che conoscevo e incontrata sul mio cammino a kilometri e kilometri di distanza dalla mia terra. Fui trattato come un figlio, non mi fece mancare nulla; ho potuto avere pasti caldi, acqua pulita per lavarmi ed un letto per riposare per tutto il tempo della mia permanenza in Svizzera. Il signor Vincenzo non mi chiese mai niente in cambio, mi aiutò anche a trovare lavoro. Per qualche mese presi servizio come cameriere e successivamente iniziai a lavorare presso il salone di un barbiere. Quel mestiere lo conosco bene, me l’ha voluto insegnare mio padre. Così in questi due anni ho potuto mettere insieme il necessario che periodicamente mandavo in Calabria come sostentamento alla mia famiglia. Il proprietario del salone mi trattava con rispetto, a differenza di altri che spesso mi denigravano per il solo fatto di essere italiano. Aveva una figlia, era piccola. Ricordo che si era così affezionata a me e quando giungeva il momento della pausa dividevo con lei quello che avevo portato da mangiare.

Se penso che ho poco più di diciassette anni sembra impossibile aver vissuto tutto questo. Ho conosciuto la fame, la sete e la paura ma sono andato avanti lo stesso per la mia strada. Questa volta il biglietto per il treno ho potuto comprarlo, sono tornato a casa, dai miei cari, ma con in tasca nuovi progetti per me ed i miei fratelli.

Narrazione di Nicole Pietrotti (IIS “Elena Principessa di Napoli” – Liceo linguistico)

“Nella mia vita ho vissuti tanti spostamenti da una parte all’altra dell’Italia. Quando avevo 12 anni da Reggio Calabria ci siamo trasferiti a Pontedera, vicino Pisa dove sono rimasta per molto tempo. A 17 anni, alla tua età, mi vestivo spesso con i jeans stretti, con i tacchetti d’estate e i Camperos d’inverno. Avevo sempre gli orecchini, la matita e la fascetta. A 17 anni ho letto il mio primo libro, Uccelli di rovo, e da lì poi non ho più smesso di leggere”.

Con tuo padre ci siamo incontrati la prima volta nell’agosto del 1985, quando eravamo in vacanza a Monterosso in Liguria. Quindi a lungo è stata una relazione a distanza. Mi ricordo che lui arrivava alla stazione e poi da lì camminavamo per andare fino alla torre di Pisa, dove, seduti, ci scambiavamo le lettere che ci scrivevamo”.

“Avevo un diario a cui confidavo tutti i miei sogni e timori. Lo scrivevo nella mia camera dove avevo una radiolina sempre accesa, anche di notte, mentre dormivo. Amavo la musica, mi faceva stare al sicuro. Mi accompagnava anche al mare perché, non sapendo nuotare e avendo paura dell’acqua, me ne stavo sempre davanti al jukebox a mettere le canzoni”.

Narrazione di Fabio De Sibi, Simone Angeletti, Marco Mastroiaco (IIS “Elena Principessa di Napoli” – Liceo artistico)

Eccoci qua, dopo una giornata così uguale ma allo stesso tempo così diversa da tutte le altre. Ti vedo lavorare da quando sei piccolo, e di progressi ne hai fatti tanti mio caro Mario… Ricordo i primi tempi quando ancora aiutavi i tuoi genitori, talmente pieno di energia e con una voglia smisurata di imparare quel mestiere di famiglia che tanto ti intrigava… nel corso del tempo ne ho viste di ogni, dalle piccole vittorie per una ruota sistemata ai pianti alle sette di sera quando, ormai esausto dopo una giornata estenuante di lavoro. Eppure dopo molti anni sei ancora qui, con la stessa voglia delle prime volte, a sistemare l’ennesima macchina dell’ennesimo cliente sbadato… Quante ne abbiamo passate insieme….

L’Officina di Mario Camacci

Narrazione di Gaia Bianchetti (IIS “Elena Principessa di Napoli” – Liceo linguistico)

L’ingenuità di non indossare cinture e casco fu perché aveva sentito un’anomalia nella stabilità della vettura e allora era salito un attimo a fare un giro di prova per capire da cosa dipendesse, ma non ha fatto in tempo perché la ruota anteriore destra era lenta. Di conseguenza, appena entrato in curva, la ruota si è piegata catapultando Dino fuori dall’abitacolo e la macchina si è rovesciata su di lui. Come riporta un articolo di giornale, amava sopratutto le Renault e non si tirava indietro nel dare consigli ai piloti che non conosceva. Iniziò il suo percorso acquistando una 4-12 Gordini con la quale avviene il suo debutto nella nona edizione della Coppa Carotti.

”…Conoscevo Dino Franceschini ed ho avuto l’onore di riparare una sua auto da corsa successivamente ad una delle sue molteplici gare. Avevo anche una foto, che purtroppo ho perso, con lui e la sua auto, un vecchio modello della Renault, che ad oggi non ricordo precisamente. Ci trovavamo spesso in una delle mie prime officine, nella zona del Borgo, vicino al centro storico di Rieti, e ricordo che passavamo ore a parlare di auto… Quando se ne andò quel maledetto giorno mi dispiacque moltissimo…”.

Roberto Angelucci

Narrazione di Edoardo Angelucci, Mattia Mariantoni, Alessandro Cida, Giulio Santori, Alessandro Bercaru, Gabriele Coronetta (IIS “Celestino Rosatelli” – Liceo scientifico opzione Scienze applicate)