di Andrea Scappa_
Intraprendiamo, con questo articolo, il percorso di Didattica Luce in Sabina, Un tempo ritrovato, chiamato, non a caso così, dopo la parentesi, puramente digitale, di Un tempo sospeso, che ci ha visti impegnati dal lockdown all’inizio della fase 1. Infatti, grazie a Un tempo ritrovato, siamo tornati, con la debita distanza, ma senza mezze misure sul piano dell’approfondimento e della riflessione, a incontrare di persona docenti, archivisti, ricercatori e appassionati. Da questi momenti di condivisione abbiamo realizzato una serie di contributi video, pensati per la didattica e per la divulgazione, in cui lasciamo loro la parola per farci entrare in contatto con esperienze, progetti, dibattiti in corso, snodi teorici, storie. Un unico filo attraversa il percorso: l’interrogazione, costante e da più angolazioni, delle fonti audiovisive, che sono oggetto di raccolte e censimenti, di restituzioni convenzionali e di riusi creativi, strumento per la testimonianza diretta o mediata, tessere mutevoli per quel mosaico mobile, che è la public history. Ogni incontro in video presenta una triplice forma, dovuta alla differente destinazione: pillole pubblicate sui nostri canali social Facebook e Instagram, un articolo con un filmato più articolato, e lo stesso filmato impiegato nella prima parte dei pcto, i percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento, denominati L’Officina di Didattica Luce in Sabina, che coinvolgono le classi di tre scuole superiori di Rieti e che stanno per partire.
Il nostro primo donatore di conoscenza è Gabriele D’Autilia, professore associato in Cinema e Fotografia all’Università degli Studi di Teramo, ed ex direttore dell’AAMOD, Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico, di Roma. Il suo racconto parte da Famiglie laziali, un ampio progetto, realizzato dall’AAMOD con il sostegno finanziario della regione Lazio, relativo alle foto e ai filmini di quattro provincie, quelle di Rieti, Viterbo, Latina e Frosinone. D’Autilia, responsabile e coordinatore del progetto, sviluppatosi dal 2006 al 2009, ne ripercorre i principali passaggi.
Il primo passo ha visto l’arrivo sui territori interessati di un gruppo di ricercatori, che ha condotto la raccolta delle fonti audiovisive familiari, presso le scuole medie e superiori. Veniva chiesto agli studenti di individuare, nelle proprie case o in quelle dei parenti più stretti, circa 30 foto, scegliendo in un arco cronologico, che andasse dalla foto più antica alla foto in cui compaiono da piccoli. Questa metodologia è stata adottata per tirare fuori dalla mole incontrollata degli album fotografici, un numero di materiali adeguato alla ricostruzione della storia della loro famiglia. I ragazzi hanno accompagnato il loro piccolo patrimonio fotografico con un breve testo che permettesse di delineare la loro genealogia e gli aspetti più importanti del suo avvicendarsi nelle epoche.
La fase di raccolta ha fatto arrivare all’AAMOOD 10.000 foto e 100 filmini. Si è passati così alla loro inventariazione e organizzazione per poi affrontare tre traiettorie di valorizzazione: una mostra, un libro-catalogo e un portale, tutt’ora ancora aperto per la consultazione. Una parte dei materiali, già ordinati per studenti proprietari, singole scuole e provincie, sono stati aggregati attorno a quattro tematiche: Rituali, Ritratti, Scenari e Distanze. In Rituali confluiscono tutte le foto che fissano momenti familiari extraquotidiani, quali i battesimi, i matrimoni, i compleanni e i funerali. Nella parte dedicata ai Ritratti trovano posto quelle istantanee che si inseriscono in questo specifico genere fotografico. In Scenari invece vengono intrappolate quelle foto che danno conto dell’ambiente chiuso della casa o quello che diventa un luogo di famiglia, altro o esterno. Infine Distanze raccoglie i momenti in cui i componenti della famiglia sono fisicamente lontani perché in vacanza, a fare il servizio militare o costretti a emigrare.


La mostra Familia. Fotografie e filmini di famiglia nella Regione Lazio, curata da Gabriele D’Autilia, Laura Cusano e Manuela Pacella, ha viaggiato in ognuna delle quattro provincie laziali, prima di approdare a Roma, al Museo Centrale del Risorgimento, dal 24 marzo al 10 maggio 2009. Nell’allestimento ciò che più ha colpito i visitatori, ma anche la stampa e gli addetti del settore, è stata la possibilità di avere, a portata di mano e con un solo colpo d’occhio, uno spaccato della famiglia italiana nell’arco di un secolo, il Novecento. In concomitanza con l’esposizione è uscito il relativo volume, edito da Gangemi e costruito più come uno spazio di elaborazione del pensiero sulle fonti audiovisive familiari, che come un semplice catalogo. Per questo lo sguardo si posa sulla prefazione dell’importante storico e critico cinematografico francese, Pierre Sorlin che, oltre a segnalare la rilevanza di un progetto così consistente sulle foto di famiglia, afferma:
«Prima degli anni Cinquanta tutti gli occhi sono concentrati sull’operatore. Poi, progressivamente, senza che si possa fissare una data precisa, i corpi si liberano dal potere della macchina, che diventa una presenza della quale la gente non si preoccupa. Nuove modalità di rappresentazione sostituiscono l’archetipo pittorico, si ricalca il cinema, i manifesti pubblicitari, i giochi televisivi, si rischia l’istantanea nonostante il pericolo dell’inquadratura “sbagliata”, e si arriva perfino a osare una composizione puramente estetica. Un segno non equivoco dell’indifferenza rispetto al ritratto collettivo è l’importanza data ai beni materiali. Salvo che nelle case dei benestanti, l’arredamento è raramente visibile nelle fotografie ma, nella seconda parte del Novecento, chi dispone di elettrodomestici, di automobili, di ciclomotori, non si fa sfuggire l’occasione di esibirli orgogliosamente, per dimostrare a se stesso e agli altri, che il benessere è finalmente entrato nella casa. Basta forse una fotografia per riassumere l’evoluzione di un secolo».
Non a caso, spesso, nelle fotografie entrano a pieno titolo il televisore o il trattore, entrambi considerati un membro della famiglia. E in questi primi vent’anni di secolo? Oggi, immersi nel digitale, cosa possiamo dire della fotografia di famiglia? D’Autilia sostiene che i meccanismi, che l’hanno sempre investita, non sono cambiati con l’avvento di social, come Facebook o Instagram. C’è ancora autocontrollo nel decidere cosa rappresentare di me, come ritrarmi e in che situazione. Quando siamo in viaggio, ci sono ricorrenze nei luoghi in cui fotografarsi e la voracità compulsiva con cui scattiamo. Siamo giunti a un dilemma: le inquadrature, che scegliamo, sono finestre aperte su di noi e sul nostro mondo o figurine interscambiabili di esseri umani?