di Daniele Scopigno
Il 24 marzo sono passati 76 anni dall’eccidio delle Fosse Ardeatine. Un evento che ha segnato la Seconda guerra mondiale e il nostro Paese. Proprio in tema di ricordo, il 27 gennaio, giorno dedicato alla memoria delle vittime della Shoah, è stato presentato il libro Il processo Kappler nelle carte dell’Archivio di Stato di Rieti, edito da Il Formichiere. Nel testo è contenuta la ricostruzione delle Fosse Ardeatine e del processo che ne seguì a carico di Herbert Kappler, attraverso la documentazione che aveva conservata per sé il presidente del tribunale militare giudicante, il generale Euclide Fantoni, originario di Roccantica in provincia di Rieti, le cui carte private sono custodite dall’Archivio reatino.
La presentazione del volume ha visto la partecipazione dell’Istituto Luce Cinecittà attraverso quattro filmati dell’archivio storico riguardanti: il processo del 1946, celebrato dalla Corte degli Alleati; l’apertura del processo del 1948 celebrato dal tribunale militare italiano presieduto da Fantoni; la sentenza a carico di Kappler e, infine, le proteste del 1976 da parte della comunità ebraica contro la scarcerazione di Kappler per motivi di salute.
Il primo filmato ha come titolo Corte alleata, il processo Mältzer e compagni. Si tratta del procedimento nei confronti di Kurt Maeltzer, il generale tedesco a comando della piazza di Roma nel periodo di via Rasella. Era subalterno a Eberhard von Mackensen, la massima autorità della zona di guerra che comprendeva la Capitale e con questi processato dal tribunale britannico insediatosi a Roma all’interno di S. Ivo alla Sapienza a fine 1946. Processo a cui si riferisce il filmato. Condannato a morte, Maeltzer ha visto commutare la sua pena in ergastolo. È morto nel 1952 a 58 anni durante il periodo di carcerazione a Werl.
Il contributo audiovisivo è del 21 novembre del 1946, all’interno della Settimana Incom 00033 e mostra l’apertura del processo a cui sono presenti anche von Mackensen e Kappler. La voce che si ascolta narra la testimonianza di una donna, madre di una delle vittime alle Fosse Ardeatine.
Più volte nelle carte processuali di Fantoni è presente Maeltzer, in particolare nel processo verbale dell’interrogatorio di Herbert Kappler, dove il capo del Servizio di sicurezza (Sd) riferisce di aver incontrato il console generale a Roma, Moellhausen, «pallido ed eccitatissimo» che lo prega di fermare «quel pazzo di Maeltzer che intendeva far saltare per aria tutto il quartiere». Siamo nelle fasi immediatamente successive all’attentato di via Rasella, quando sul luogo dell’esplosione arrivano numerosi vertici militari tedeschi. Kappler le racconta nel suo interrogatorio dove spiega che dopo aver incontrato il colonnello delle Ss, Eugen Dollmann, si avviò verso Maeltzer, uscito da un pranzo all’hotel Excelsior e che appariva «eccitato ed aveva le lacrime agli occhi». Fantoni a proposito di Maeltzer, nelle sue carte, annota la considerazione «era ubriaco?». Era convinzione, infatti, che il generale tedesco abusasse spesso dell’alcol. Da quanto riferisce Kappler, Maeltzer era intenzionato, inoltre, a far saltare in aria l’intero quartiere dove si trova via Rasella. A quanto pare, l’ufficiale del Sd avrebbe più volte fermato la foga del comandante Ss della piazza di Roma, tant’è che Fantoni annota a proposito di Maeltzer: «Era un pazzoide?»[1].
Maeltzer, come noto, è una delle figure più attive nella preparazione dell’eccidio delle Fosse Ardeatine e pertanto è più volte presente nelle carte del giudice. Vale la pena ricordare, in questa occasione, un ulteriore passaggio che si evince dalla documentazione processuale e che è il punto di svolta di come Kappler, su ordine di Maelter, guidi le fucilazioni alle Cave.
Di seguito, la descrizione, presente nel volume pubblicato, di quella importante fase:
In un colloquio con Maeltzer si inizia a parlare dell’esecuzione dell’ordine di rappresaglia. All’inizio si ritiene debba essere il Bozen a eseguirlo. Sorgono, però, i primi dubbi sulla tempistica. Kappler riferisce che finora si era sempre utilizzato il metodo italiano, ma si trattava di fucilazioni per pochi condannati dalla durata di due ore, pertanto visti i tempi stretti di esecuzione, l’assistenza religiosa, in questa occasione, presumibilmente non era possibile. Helmut Dobrik (o Dobbrick o Hans Dobek, qui viene utilizzata la grafia degli atti, nda), comandante del battaglione colpito a via Rasella, fa le prime resistenze per attuare l’ordine in quanto gli uomini del Bozen sono tutti anziani e molti superstiziosi. Fantoni annota ma erano o no delle SS sottoposte alla stessa disciplina?. Tale punto è di rilevanza poiché si collega al principio dell’obbedienza cieca a un ordine, punto nodale per la sentenza del processo. Ovvero il generale vuole capire quale forza coercitiva abbia la disposizione sulla catena di comando.Maeltzer asseconda Dobrik e anche il colonnello Hauser, capo di Stato maggiore della 14esima Armata, si rifiuta: La polizia è stata colpita, la polizia deve fare espiare. A quel punto Maeltzer, secondo la deposizione, afferma: Kappler non rimane altro che se ne occupi lei[2].
Come visto il generale tedesco, al cui processo è riferito il primo filmato dell’Archivio storico dell’Istituto Luce, è uno dei protagonisti di quegli eventi. Quanto stabilito dai tribunali e le successive modifiche apportate alle pene mostrano come quella fase fosse, però, attraversata da correnti spesso contrarie. A questo proposito, in conclusione, si fa cenno a quanto pubblicato dalla rivista «Sacrificium» nel numero 7 del 1946. La pubblicazione è l’organo periodico per la glorificazione dei Caduti sul fronte clandestino della Libertà, come recita la gerenza ed è la rivista di una delle associazioni nate tra i familiari delle vittime delle Fosse, la Cultores Martyrum, impegnata in particolare nella memoria e nella cura dei luoghi dell’eccidio. Il numero è presente nel fondo Fantoni.
In un articolo dal titolo Dopo il processo Maeltzer-Mackensen non siamo soddisfatti! si fa riferimento alla condanna a morte dei due generali tedeschi, ma al giornale il verdetto non basta, in particolare perché Dollmann è ancora in libertà (almeno in quella fase, tanto da essere anche stato fermato nei pressi di un cinema per poi essere rilasciato dalla polizia) e perché l’Italia è considerata tradita da una «giustizia farisaica e quacchera» tesa più a difendere una «egemonia economica e una indiretta schiavitù politica» che a tutelare il popolo liberato. Per il giornale, i martiri avrebbero dovuto avere giudici «del loro sangue» poiché tutti sarebbero comparsi sul banco degli imputati[3].
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[1] Si veda D. Scopigno, Il processo Kappler nelle carte dell’Archivio di Stato di Rieti, Rieti, Il Formichiere, 2020, p. 36.
[2] Ivi, p. 40.
[3] Ivi, p. 86.