A cura di Patrizia Cacciani
Nel patrimonio audiovisivo dell’Archivio Storico Luce sono presenti diversi materiali che trattano del Reatino e della Sabina. In questo primo numero prenderemo in considerazione alcuni aspetti della narrazione sul cambiamento del territorio durante il fascismo. Tra i cinegiornali ed i soggetti ci sono documenti che trattano della via Salaria e degli impianti idroelettrici del Turano e del Salto.
Le condizioni economico sociali del Reatino e della Sabina negli anni Venti mostrano un territorio a prevalenza agricola e in profonda arretratezza economica. Le foto della Sabina di Paul Scheurmeier, nella bella mostra all’Archivio di Stato di Rieti, prodotte nel 1925, a seguito dell’indagine dei due linguisti svizzeri Jaberg e Jud con la realizzazione dell’Atlante linguistico ed etnografico dell’Italia e della Svizzera meridionale tra il 1919 ed il 1928, lo confermano.
La crisi economica mondiale del 1929, vede l’Italia in una condizione di crescente disoccupazione, di pesante svalutazione della lira e di esigua produzione reale. Lo stato fascista cercò di rompere i rapporti di dipendenza economica dall’estero e intervenendo pesantemente nell’economia. Di conseguenza, lo stretto rapporto tra potere politico, industria e banche, ereditato dall’economia dell’Italia liberale fu rafforzato: con la creazione dell’I.M.I. (Istituto immobiliare italiano) e dell’I.R.I. (Istituto per la ricostruzione industriale), il fascismo fece dello Stato il maggiore imprenditore e banchiere italiano.
La lunga storia della strada consolare Salaria e le sue trasformazioni nel tempo sono oggetto di attenzione subito dopo la realizzazione della bonifica della piana reatina.
Nel 1839 risultavano presenti dieci consorzi di bonifica come: dei Laghi, del Fiumarone, del Turano-Velino che furono riunificati tutti l’8 luglio 1929 nel Consorzio speciale della Bonifica della Pianura Reatina.
L’incremento demografico della città nel decennio 1921-1931 portò ad un aumento del 20% della popolazione per le opportunità di lavoro del Lanificio Luna e dello stabilimento Marinozzi, del mobilificio Nicoletti, del pastificio Iannelli e Meloni, ma l’impennata vertiginosa si ebbe con l’apertura nel 1928 dello stabilimento tessile CISA-VISCOSA.
La città si estese urbanisticamente nel viale Maraini dove si trovava lo Zuccherificio e oltre la cinta muraria nella zona della stazione ferroviaria. Nel 1927 davanti alla stazione fu abbattuta una parte della cinta medioevale e fu realizzato il palazzo degli studi, mentre per sistemare la via Salaria che proveniva da Roma, furono abbattute le case vicine a Porta Romana. Lo stesso anno Rieti diventa provincia, assimilando anche la Sabina, entrambi dall’unità d’Italia era state sotto la provincia di Perugia.
In un articolo di un cronista del 1929, ci racconta Francesco Palmegiani ne Le opere del regime a Rieti: “Rieti la città cinta dalle oscure mura merlate, custodi incorruttibili della sua serafica pace, è stata pervasa d’improvviso da un soffio nuovo che, penetrato a guisa di mistero, attraverso le sue pietre secolari, ne ha scosso le fibre: è così che l’abbiamo vista diventare mano a mano un cantiere, dove il fervore della instancabile operosità si è accoppiato alla indomita volontà di fare: fare bene e presto con un dinamismo tutto fascista”.
In questo contesto locale, ma di dimensioni nazionali, si inseriscono il giornale Luce e il documentario muto, entrambi del 1929, dal titolo Lavori di sistemazione stradale eseguiti dall’azienda autonoma stradale della via Salaria tronco Roma – Rieti.
Il fascismo incentivava lavori di bonifica, costruzioni stradali e ferroviarie e opere di sistemazione urbanistica. Con la riforma della rete viaria nazionale, il 17 maggio 1928, con decreto legge n. 1904, veniva costituita l’Azienda Autonoma Statale delle Strade. Nel testo della legge c’è allegato un elenco dei lavori stradali da realizzare. Al quarto posto c’è la via Salaria: Roma – Passo Corese – Rieti – Antrodoco – Arquata del Tronto – Ascoli Piceno – Innesto con la n. 16 a Porto d’Ascoli. Il soggetto muto ed l’altrettanto muto giornale Luce ci parlano dei lavori di ammodernamento degli ultimi dieci chilometri prima di arrivare a Rieti.
La pietra miliare segnala l’inizio dei lavori al 67° km della Salaria con un lungo viale alberato, per procedere come una linea diritta nella campagna della Sabina, ricca di ulivi. Case coloniche, agricoltori nei campi, persone su muli, carretti e biciclette, una serie di tornanti con la strada che si inerpica, poche auto. Ed infine una lunga striscia che conduce a Rieti. Si chiude con la veduta in lontananza dello skyline della città.
Le alluvioni della Piana Reatina sono sempre state imprevedibili, improvvise e terribili: il 5 dicembre 1923 il fiume Salto raggiunse la confluenza del fiume Velino esondando sino ai primi piani delle case della città di Rieti.
“Dalla sera del cinque dicembre 1923 un’acqua insistente, densa, tormentosa cominciò ad imperversare sulla nostra vallata ed i tre fiumi convergenti nella pianura cominciarono gradatamente ad ingrossare. Nessuno però avrebbe mai preveduto ciò che avvenne nel breve spazio di poche ore dal mezzogiorno alle sei… Sono i poveri coloni, famiglie sparse, isolate e che lontane dalla più grande famiglia della città, invocano aiuto, conforto e gridano sentendo nella notte profonda solo il terrificante fragore del gigantesco volume d’acqua che imperdonabile avanza e dove avanza, abbatte, distrugge, uccide”. Queste le parole di Francesco Palmegiani ne La grande alluvione della piana reatina nella rivista Terra Sabina del 1923.
Nel 1924 fu costituita la Società TERNI per l’industria e l’elettricità, società unica che fondeva la SAFFAT (Società degli alti forni, fonderie ed acciaierie di Terni) e la SICCAG (Società italiana per il carburo di calcio acetilene ed altri gas), le due società private che sin dalla fine dell’Ottocento avevano gestito l’area dei due fiumi. Diventano centrali gli interessi industriali a discapito di quelli pubblici.
Il piano fu progettato nel 1916 da Guido Rimini, ingegnere capo della provincia di Perugia. Prevedeva la risoluzione del problema attraverso un minore afflusso, contenendo le acque a monte e regolando il flusso dei due principali affluenti del Velino, il Salto e il Turano, con la costruzione di due dighe. Il progetto fu subito accolto favorevolmente, soprattutto per il suo enorme potenziale idroelettrico. Ma solo nel 1935, in conclusione degli studi, delle ricerche e dei sondaggi, furono avviati i lavori di costruzione delle dighe e dei laghi.
Le popolazioni presenti nelle valli del Salto e del Turano pagarono un prezzo altissimo: le famiglie coloniche che risiedevano nel fondovalle furono trasferite frettolosamente. La Società Terni promise la costruzione di abitazioni. Promesse mai mantenute, perché le case non potevano essere costruite prima dell’imbrigliamento delle acque. Un tempo troppo lungo per assorbire i disagi di chi aveva perduto lavoro e casa. Una rabbia sociale trovò spazio prevalentemente nelle aggressioni individuali ai tecnici della società Terni, più che in un moto organizzato di ribellione.
La documentazione cinematografica ci presenta esclusivamente la propaganda delle opere pubbliche fasciste. I giornali Luce del 1938 e 1939 ci raccontano gli impianti idroelettrici ed i laghi del Turano e del Salto con tutta la retorica classica della propaganda fascista. Non c’è spazio che alla grandezza delle opere e al ruolo delle autorità fasciste, in particolare locali. L’Italia è nel pieno della sua militarizzazione, l’entrata in guerra è alle porte e la dittatura mette in mostra se stessa come l’unico elemento forte su cui il Paese può e deve sostenersi. La Storia sarà molto diversa.