di Arianna De Santis
Emozione e rievocazione: queste sono le giuste parole per descrivere la nostra esperienza all’evento in onore dei cinquanta anni dal “Karnhoval”. Conoscere e comprendere l’atmosfera che si respirava in quei giorni, ci ha fatto tornare indietro nel tempo, facendoci immedesimare in giovani reatini degli anni ’70, epoca molto distante e quasi inimmaginabile per noi “ragazzi del 2000”. Attraverso i racconti di chi, nel febbraio del 1969, ha visto trasformare Rieti nel teatro di esposizioni, concerti che parlavano un linguaggio alquanto diverso e provocatorio per la realtà dell’epoca, abbiamo compreso perfettamente quanto l’evento del “Karnhoval” sia stato rivoluzionario e, oserei dire anche destabilizzante, per la nostra piccola realtà che non era di certo propensa alle avanguardie artistiche. Ascoltando i racconti delle persone che hanno partecipato, anche attivamente, a questo straordinario evento, che all’epoca avevano più o meno la nostra età, abbiamo rivissuto dentro di noi la stessa frenesia, il vivace entusiasmo di trasformare la normalità, sconvolgendola anche bruscamente. Gli artisti del “Karnhoval”, attraverso le loro parole, azioni, gesti compiuti in estrema libertà di espressione, hanno voluto dimostrare che, anche se non rispettanti rigide regole, le loro creazioni potevano essere chiamate “opere d’arte”. L’interrogarsi sul senso dell’arte è il tema fondamentale dell’evento: cos’è l’arte? Qual è il suo significato più profondo, ma soprattutto cosa può essere definita opera d’arte e secondo quali canoni? Questi sono gli interrogativi da cui nasce lo spettacolo dedicato al “caso Brâncuși”, a cui noi studenti del Liceo Artistico “A. Calcagnadoro” abbiamo preso parte. Nello spettacolo nessuno di noi aveva dei ruoli prestabiliti, ma tutti interpretavamo tutti: dal giudice, all’avvocato dell’accusa e della difesa, dal funzionario doganale all’artista Costantin Brâncuși. In questo modo ognuno di noi ha dovuto scavare nel proprio animo e far uscire la parte, a volte anche nascosta e sconosciuta, di sé più adatta all’interpretazione. Ciò che più di tutto dovevamo comunicare agli spettatori era l’impertinenza e la testardaggine di chi non accetta che le proprie opere siano definite semplici oggetti industriali e lotta duramente per far rispettare il proprio pensiero andando contro tutti e sfidando addirittura il governo Americano. Di certo non è stato facile mettere in scena la vicenda giudiziaria sia per la lontananza temporale dell’evento sia perché si fonda sulla lotta per l’ideale di libertà d’espressione che noi forse oggi diamo troppo per scontato, ma alla fine l’esperienza è stata fantastica: ognuno ha dato il meglio sé divertendosi e sicuramente terrà nel suo cuore questa “avventura” per tutta la sua vita.