RI-FARSI COMUNITÁ. TESTIMONIANZE DI RENZO COLUCCI E GIULIO ANIBALLI

a cura di Andrea Scappa

Rammendare gli strappi della memoria. Ritessere con vigore e perseveranza i fili di ciò che non c’è più ad Accumoli e Amatrice attraverso le testimonianze dei sopravvissuti, le ricerche di studiosi e studenti universitari, il patrimonio delle foto pubbliche e di famiglia, i progetti edilizi e le mappe catastali. Ricostruire la memoria dei luoghi e dei paesaggi, sconvolti dal terremoto, diventa una responsabilità, un dovere, una via di possibile ripartenza dal blocco forzato delle macerie.

Il Comitato “Radici Accumolesi”, formatosi poco dopo la scossa di fine agosto con l’obiettivo di far riemergere la storia di quelle terre dai detriti provocati dalla Storia, ha costituito al suo interno due commissioni, una storico–artistica e una tecnico–scientifica, e ha attivato una convenzione con la Facoltà di Ingegneria dell’Università de L’Aquila e la Facoltà di Architettura dell’Università Sapienza di Roma per creare strumenti concreti per una riconnessione sociale e culturale. Renzo Colucci, presidente del Comitato, spiega: “La nostra intenzione è quella di consegnare ai cittadini accumolesi schede anagrafiche per ricostruire la storia di ogni fabbricato crollato sia nel centro del comune che nelle frazioni. Nella scheda di ogni edificio da compilare troverà posto la sua storia edilizia, quella di chi vi ha abitato o lavorato, del suo vissuto privato e cittadino mettendo insieme fonti fotografiche, orali e testuali di varia natura e provenienza. Le schede con i relativi materiali di questo censimento saranno poi prese in custodia dall’Archivio di Stato di Rieti”.

Una memoria dunque che si fa più ricca e ostinata di quella che si aveva prima del terremoto, una memoria costruita dalla collettività, dai sopravvissuti, da coloro che hanno passato la giovinezza in quei territori, da coloro che vi tornano ogni estate, da giovani studenti che non ci sono mai stati e che conducendo un lavoro di approfondimento sul patrimonio generano un senso nuovo e plurimo a quel “vivere in strada” di un tempo. Quell’entrare nelle case, quel senso diffuso di paese, di abitazioni che si affacciano e debordano nelle strade, nelle piazze riemerge nei ricordi di Giulio Aniballi, architetto, originario di Amatrice, che mantiene un legame viscerale con la sua terra natia. L’architetto lo testimonia con le sue parole: “La mia conoscenza di ogni luogo, di ogni palazzo, di ogni portone di Amatrice è dovuta alla curiosità che da bambino mi portava a seguire mio padre, proprietario di una ditta edile, nei suoi lavori di restauro per la Soprintendenza, ma anche per le abitazioni private. Inoltre, da piccolino, quando di Pasqua si usava andare a benedire le case con i preti, c’è stato il mio primo impatto e ingresso in tutte le case degli Amatriciani. In quelle abitazioni ci sono rientrato quando, appena laureato, ho ricevuto l’incarico del piano particolareggiato di Amatrice. Così andavo in tutte quelle abitazioni, in quelle stanze, entravo in contatto con tanti vissuti, aprivo quelle finestre. Ogni apertura aveva un panorama suo, un sapore e un profumo diverso. Vedere oggi il vuoto al posto di quegli edifici è come tanti figlietti persi”.

L’urgenza che si fa sempre più largo è quella di mettere insieme scritture, immagini e storie orali in cui rifugiarsi. Per ricominciare bisogna far rientro tra quelle mura, prendersi per mano e dare corpo e voce all’assenza. Tornare a giocare a campana e a palla per le vie, tornare a incontrarsi, tornare ad essere comunità.